TITOLO ORIGINALE: Uncharted
USCITA ITALIA: 17 febbraio 2022
USCITA USA: 18 febbraio 2022
REGIA: Ruben Fleischer
SCENEGGIATURA: Art Marcum, Matt Holloway, Rafe Judkins
GENERE: azione, avventura
Una riproposizione complessata di Indiana Jones, un attentato all’utopia spionistica doppiozero, un Mission Impossible in miniatura, un’Arma (non) Letale ed un plagio di Pirati dei Caraibi: Uncharted di Ruben Fleischer è tutto tranne che un buon film. La Sony tenta di replicare il successo del Marvel Cinematic Universe, ma incappa nella maledizione della trasposizione videoludica. Il risultato finale è un'operazione insensata ed un film che è più sgangherato di quanto non vorrebbe, costantemente impegnato ad ingraziarsi i fan del videogioco ed inetto, sotto il profilo più spettacolare, nel celare, sotto un allure post-moderna, il suo essere nientemeno che un cocktail sproporzionato. Nulla in confronto al suo vero problema: Tom Holland.
C’è una regola non scritta nel macrocosmo delle trasposizioni cinematografiche: mai adattare un videogioco per il grande schermo. Una regola divenuta quasi un proverbio. Un luogo comune che con gli anni - salvo qualche rara eccezione - si è tramutato in un’infausta maledizione per tutte quelle produzioni e quei registi che hanno anche solo avuto l’ardore di approcciarsi a questo medium, tanto simile quanto il suo contrario.
Ahinoi, l’ultimo di quegli sventurati è Ruben Fleischer che, con la benedizione della neonata PlayStation Productions e il patrocinio del produttore Avi Arad [tra i primi a cimentarsi con gli adattamenti della grande epopea Marvel, nonché uno dei fondatori del Marvel Cinematic Universe], si imbarca nella trasposizione di una delle serie di punta della console di casa Sony. Almeno sulla carta e sulla base di alcune scelte editoriali ben precise, Uncharted sembrerebbe infatti l’episodio zero di una nuova odissea cinematografica.
Ma prima di espandersi e trovare una propria coerenza produttiva intertestuale, sarebbe stato meglio che ne avesse trovata un po’ in sé stessa. No, non certo di coerenza, che è forse l’ultimo dei suoi problemi, meglio parlare di personalità, ispirazione, senso.
Ecco, forse è proprio il senso quello che manca ad un’operazione del genere che, se ha sbagliato già tutto ciò che poteva nella sua campagna di promozione, nella concretezza filmica del prodotto finito ha fatto pure di peggio. Ma andiamo con ordine.
Protagonista della faccenda è (una versione più giovane e sbarbata del celebre) Nathan Drake (Tom Holland), ragazzo orfano dalla vita ed infanzia solitaria (ci sarebbe pure il fratello Sam che però, per una serie di motivi, è costretto a lasciarlo, con la promessa di ritrovarlo un giorno), appassionato, al limite del nerding, di tutto ciò che riguarda tesori andati persi, leggende ed enigmi, nonché ladruncolo a tempo perso. Una sera, mentre finisce il turno da barista in un locale di New York, viene avvicinato da Victor “Sully” Sullivan (un Mark Wahlberg che funzionerebbe pure), un ladro di fortune che gli rivela di conoscere e aver lavorato col fratello tempo addietro, il quale lo ingaggia per recuperare il famigerato tesoro di Magellano, scomparso nel nulla ormai da secoli.
Come ovvio che sia, il ritrovamento di questo tesoro non sarà del tutto una passeggiata, dal momento che sulle sue tracce c’è pure Moncada (un Antonio Banderas superfluo), l’anonimo ereditiere di una ricca dinastia spagnola che reclama tutte quelle ricchezze per diritto di sangue. Per i due, inizia così un viaggio attorno al globo che li porterà dalla piovosa New York e le sue case d'asta, alla solare Barcellona e alle sue cripte antiche, fino al mare delle Filippine e ai suoi anfratti segreti.
Il tutto, nel segno di un’avventura e di un’azione sgangherate, trasandate e disorientate alla stregua del suo protagonista, risucchiato in un vortice di doppi e tripli giochi, risentimenti passati, vendette inasprite ed una diffidenza che solo il suo cuore dolce, infantile ed innocente potrà trasformare in qualcosa che risponde al nome di amicizia.
Se nella vostra vita avete visto più o anche solo dieci film, Uncharted potrà piacervi magari, ma certo non vi rimarrà impresso nel modo in cui desidererebbe la sua produzione.
O come avrebbe voluto Ruben Fleischer che, insoddisfatto dei pasticci combinati con Gangster Squad, Venom e Zombieland - Doppio colpo, con Uncharted dà ulteriore prova della sua incapacità compositiva, confezionando una pellicola che è più sgangherata di quanto non vorrebbe, costantemente impegnata ad ingraziarsi i fan del videogioco con strategici rimandi, citazioni e riproposizioni, ed inetta, sotto il profilo più spettacolare, nel celare, sotto un allure post-moderna, il suo essere nientemeno che un cocktail sproporzionato.
Una riproposizione complessata di Indiana Jones, un attentato all’utopia spionistica doppiozero, un Mission Impossible in miniatura, un’Arma (non) Letale ed un plagio di Pirati dei Caraibi... dobbiamo continuare?
In tal senso, ancor prima che ad una regia che - ad eccezione forse di qualche momento nell’ultimissimo segmento - pare quasi impegnarsi nel scegliere sempre la via più infantile, cattedratica, finanche sbagliata per gestire, mandare avanti ed orchestrare l’azione, limitandosi appunto ad un’imitazione maldestra ed affettata di tutti i titoli sopracitati, se non della stessa direzione dei videogiochi da cui prende ispirazione; il demerito di cotanta mediocrità è da imputare ad una sceneggiatura, scritta a sei mani da Art Marcum, Matt Holloway e Rafe Judkins, che concepisce i propri personaggi esclusivamente in funzione di quello a cui non potranno mai e nemmeno aspirare (Nate non potrà mai essere un eroe fresco e credibile, Sully una spalla sagace o Moncada un villain da temere).
Non solo, la penna del trio fallisce pure negli scambi comici tra un Holland ed un Wahlberg che dimostrerebbero pure un’evidente chimica attoriale , e finisce per mal interpretare la scia #MeToo e l’idea di personaggio femminile cazzuto (riducendolo niente più che ad una boriosa saputella), preferendo ad entrambi un incessante confronto virile che, ad un certo punto, deborda pure in anacronistici parallelismi fallici (le dimensioni delle spade docet).
Una scelta, quest’ultima, che si porrebbe in audace controtendenza con quella stessa spinta femminista che parrebbe imboccare, se, alla fine della fiera, non risultasse più triviale e ridicola che altro.
Al di là di un racconto prevedibile - che definiremmo addirittura oltraggioso nei confronti dell’intelligenza dello spettatore medio -, il più grande peccato di Uncharted risiede proprio in Tom Holland, un attore la cui emancipazione dai panni di Peter Parker sembra essere sempre più improbabile, che Fleischer non riesce a sfruttare al pari di quanto fatto anche solo da Jon Watts nella trilogia ragnesca. Il che è tutto un dire. (Sia chiaro, sempre che per sfruttare non intendiate mostrare compulsivamente il risultato di intense sessioni di palestra al fine di soddisfare i più assetati in sala, oppure ancora calcare la mano sulla fortuna della sua coeva emanazione supereroistica.)
In più, anche se coerente e comprensibile nei limiti di una versione più nerd, ingenua e pulita di Nathan Drake, lo status divistico da ragazzo impacciato e sgraziato che Holland, proprio con il suo Spider-Man, è riuscito ad imporre sull’immaginario collettivo, qui si tramuta in un’arma a doppio taglio che, non dissimilmente da quanto sta già accadendo con la sua carriera, impedisce ed impedirà al vero Drake di compiersi e prendere davvero vita sul grande schermo, dandosi allora come un personaggio nuovo e brillante.
Come diceva qualcuno, tanti ci hanno provato ad inseguire la fortuna del Marvel Cinematic Universe, ma pochi o, meglio, nessuno ci è veramente riuscito. Uncharted è uno di questi nessuno.
Un’opera che, per semplificare, potremmo paragonare ad una di quelle persone che tentano a tutti i costi di risultare simpatiche e coinvolgerti nel loro gioco e nelle loro intenzioni, ma che non vedresti l’ora ti lasciassero semplicemente in pace. Ecco, il film di Fleischer è più o meno questo, con la sola differenza che, oltre a perdere tempo, si perde pure qualcos’altro. Lasciamo a voi capire cosa.
Tutto sommato però, su una cosa il nostro Tom aveva veramente ragione: “se te lo spiego, non ha alcun senso”.
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