TITOLO ORIGINALE: Wolfwalkers
USCITA ITALIA: 11 dicembre 2020
USCITA UK: 26 ottobre 2020
REGIA: Tomm Moore, Ross Stewart
SCENEGGIATURA: Will Collins
GENERE: animazione, avventura, fantastico
PIATTAFORMA: Apple TV+
Nell’Irlanda del XVII secolo, Robyn, la figlia di un cacciatore arrivato dall’Inghilterra per liberare la foresta di Kilkenny dalla piaga dei lupi, fa la conoscenza di Mebh, una bambina vivace e coraggiosa, custode però un segreto arcano e magico che pregiudicherà irrimediabilmente la sua vita e il suo futuro.
Il fondatore di Cartoon Saloon Tomm Moore (coadiuvato in regia da Ross Stewart) cala il sipario sulla sua Irish Folklore Trilogy, dando vita alla risposta tutta irlandese al monopolio "academico" quasi incontrastato di Disney Pixar. Una classica quanto prevedibile storia di incontro/scontro tra due mondi antitetici (ma in fondo così simili) è il pretesto propulsivo di una pellicola che ripone gran parte delle proprie speranze di riuscita sul recupero della tradizione e su un vero e proprio viaggio a ritroso nelle modalità e nelle forme del racconto per immagini. Un’alchimia di stimoli, riferimenti ed iconografie dal risultato inconfondibile ed intrigante e dall’effetto inaspettatamente fresco e moderno, un'imprevedibile estasi per gli occhi, ma soprattutto un'opera di grande cinema e di grande animazione che tutti dovrebbero vedere.
Nell’Irlanda del 1650, gli abitanti della cittadina boschiva di Kilkenny, per volere di Lord Protector (un nome, un programma), abbattono gli alberi della foresta circostante per espandere le proprie colture e i propri allevamenti. Tuttavia, questa loro espansione si scontra con un branco di lupi che ha nella foresta la propria casa e in quella fitta boscaglia una forma di protezione e rifugio contro quegli stessi umani che ora li vorrebbero scacciare. Infatti, sentitisi minacciati, gli animali iniziano ad attaccare e depredare i cittadini di Kilkenny e i taglialegna designati da Protector e questi, per tutta risposta, chiede l’aiuto di un cacciatore inglese, tal Bill Goodfellowe, incaricandolo di sterminare l’intero branco e, così facendo, difendere i suoi interessi.
Tra questa missione e il volere espansionista di Lord Protector e della cittadina si frappone però la figlia dello stesso Goodfellowe, Robyn, che, un giorno, fa la conoscenza di Mebh Óg MacTíre, una bambina vivace e coraggiosa che custodisce però un arcano segreto: lei e la madre Moll sono infatti le wolfwalkers - ossia mutaforma capaci di trasformarsi in lupo mentre dormono - a capo di quello stesso branco di lupi che suo padre è incaricato di sterminare. Tale incontro pregiudicherà irrimediabilmente la vita di Robyn - che, da questo momento in poi, subirà una brusca inversione di rotta -, portandola a scontrarsi con Lord Protector e persino con l'adorato padre.
Queste le poche righe di sinossi da cui prende il via Wolfwalkers (corredato, in italiano, con l’inutile sottotitolo Il popolo dei lupi), quarto film d’animazione dello studio irlandese [guarda caso, con sede a Kilkenny] Cartoon Saloon e capitolo conclusivo dell’Irish Folklore Trilogy del suo fondatore Tomm Moore, inaugurata con The Secret of Kells (2009), proseguita nel 2014 con La canzone del mare e contraddistinta, oltre che dalla regia di Moore (qui coadiuvato da Ross Stewart) e dal recupero di elementi del folklore irlandese, da due grandi aspetti che ne accomunano gli addendi. Vale a dire un’immancabile e sempre (ad oggi, ndr) insoddisfatta candidatura agli Oscar come miglior film d’animazione e l’impiego inusitato e controcorrente - almeno nell’attuale cine-panorama animato occidentale - del disegno a mano e dell’animazione 2D.
Un impiego insolito ed anticonformista, quello messo in gioco da Moore e soci, che si converte nel fattore di massima riconoscibilità ed identità della produzione di Cartoon Saloon, di cui quest’ultimo Wolfwalkers costituisce forse la summa artistica, compositiva ed emotiva.
Fin dai primi minuti, è infatti abbastanza chiaro che l’opera non abbia alte aspirazioni d’innovazione drammaturgica e narrativa, ma desideri piuttosto recuperare la tradizione; fare un viaggio a ritroso nelle modalità e nelle forme del racconto per immagini, al fine di portare sullo schermo un’alchimia di stimoli, riferimenti ed iconografie dal risultato inconfondibile ed intrigante e dall’effetto inaspettatamente fresco e moderno.
Dunque, se dal punto di visto dell’intreccio, Wolfwalkers mette in scena una classica e (sovente) prevedibile storia di incontro tra due mondi accomunati dagli stessi ideali e valori, ma inimicati e costretti a scontrarsi per volere di qualche despota prepotente o nel nome di una fede perversa e travisata; in termini estetico-visivi l’ultimo parto dei creativi di Cartoon Saloon è un'imprevedibile estasi per gli occhi.
Questo recupero del retaggio della narrazione visuale citato sopra si ha e si percepisce, in tutto il suo incanto e la sua meraviglia, già dai fotogrammi preliminari e dai titoli di testa di Wolfwalkers, che, anche grazie al tratto intenso, trasparente (rispetto al processo creativo) e palpabile (rispetto ai materiali adoperati) dei disegni, immergono lo spettatore nelle pagine di un libro illustrato per bambini che tuttavia gode del dinamismo e del movimento propri del mezzo cinematografico. Di un libro illustrato che, nel giro di 100 minuti abbondanti, condensa l’intera poetica dello studio d’animazione irlandese, sfoggiando composizioni armoniche ed equilibrate - paragonabili a veri e propri quadri - contraddistinte da e definite in base a soluzioni ed espedienti grafico-visivi di grande carattere e personalità artistica e concettuale.
Tra questi, i più interessanti e degni di una menzione sono sicuramente l’appiattimento della profondità e la falsificazione delle prospettive [specialmente, nelle vedute e nei campi lunghi] tipici dei primi disegni dell’infanzia, che conferiscono alla pellicola un’anima pura ed ingenua - adatta all’innocenza delle sue due protagoniste - ed un tratto distintivo e differenziale. Oppure la resa a mo' di storyboard - solo animato e più convulso - delle varie soggettive lupesche e l’imitazione della riquadratura della vignetta fumettistica nel rapporto dell’immagine, e dell’irrequietudine e tensione grafica dell’animazione giapponese nei risvolti più drammaturgicamente carichi e significativi. Ma anche il lavoro compiuto sui personaggi, sulle ambientazioni e sul loro rapporto di unione e coesione o, al contrario, divisione e contrasto.
A tal proposito, come dimenticarsi delle favolose inquadrature in cui le due MacTíre sono attorniate dai lupi all’interno della caverna - che è anche la loro dimora, oltre che il luogo in cui si addormentano e trasformano -, con cui diventano quasi un corpo solo; un unicum naturale, dolce ed amorevole, o dei momenti in cui Lord Protector guida l’attacco risolutivo ai danni dei lupi e della foresta e quest’ultima perde qualsiasi elemento nobile e fantasioso, convertendosi in un vero e proprio inferno (merito anche di un lavoro di colorazione a tempera estremamente pregevole ed, anch’esso, esplicito rispetto a processo compositivo e materiali impiegati).
Ciò nonostante, il comparto visivo e l’animazione di Wolfwalkers non si limitano alla mera funzione e allo status di meraviglia e prodigio artistico - a testimonianza delle capacità e della creatività del team di Cartoon Saloon -, ma instaurano un legame a doppia mandata con il racconto filmico e le sue tematiche. Un legame, quello tra visuale e narrativo/concettuale, che si estrinseca e manifesta principalmente nella dialettica città/foresta, che, proprio grazie ai disegni e all’animazione, riesce a darsi in modo più chiaro o, per contro, a perturbare le aspettative del pubblico.
Da un lato abbiamo quindi Kilkenny, una cittadina superstiziosa (le parole di Attenti al lupo di Lucio Dalla ne restituiscono un perfetto identikit) e caotica, composta da una società profondamente misogina e patriarcale e comandata da un tiranno autorevole e spietato, e che, per questo motivo, viene (rap)presentata come uno spazio abitativamente sovraffollato e (dunque socialmente) soffocante, attraversato da persone dai visi e corporature spigolosi (così come spigolosa è la loro mentalità) e circoscritto da un muro di cinta, a ritratto della chiusura e della limitatezza ideologiche e mentali che aleggiano nell’aria.
D’altra parte troviamo invece la foresta, che, se in un primo momento sembra abbracciare e aderire all’iconografia e all’immaginario fiabesco-medievali - in quanto luogo del mistero, della magia, del segreto e del male -, in seguito alla confutazione di questi ultimi in sede di sceneggiatura, si rivela come dimora di creature graficamente ben più dolci e simpatiche - pur mantenendo lo stesso una discreta aura di magia intrinseca e occulta.
Di conseguenza e contestualmente al percorso narrativo e personale di Robyn, la cittadina viene vista come un luogo congelato nel tempo e nello spazio (delimitato da mura spaziali e temporali, ma anche storiche, sociali e politiche); come un luogo stantio, statico ed immobile - nonostante le mire espansionistiche di Lord Protector - in cui la giovane non avrebbe alcuna possibilità futuribile, se non piegandosi alle convenzioni e diventando una sguattera (vedi i vari riquadri incorniciati da catene nelle sequenze in split screen). Viceversa, il fuori, la natura e il bosco sono banalmente tutto il contrario: il compimento di un viaggio (dell’eroe), l’evasione (fisica ed intellettuale) da una condizione sociale opprimente, l’emancipazione, la libertà, il dinamismo e il movimento (così come dinamici sono i personaggi che qui vi abitano e le loro rispettive animazioni), la riscoperta di sé stessi, la speranza di una vita migliore e (soprattutto) pacifica, un luogo in cui le prospettive grafiche ed ideologiche non sono falsate o infantili (come invece avviene per la città e i suoi immediati dintorni), la crescita, la presa di coscienza. In poche parole, il futuro.
E, proprio parlando di futuro, è spontaneo chiedersi quale sarà il futuro del film dopo che ha sbancato gran parte dei maggiori premi del settore, divenendo un successo praticamente unanime di critica e pubblico (per chi l’ha visto, ovvio), e dopo aver recentemente ricevuto una candidatura ai prossimi premi Oscar in qualità di miglior film d’animazione.
Riuscirà ad imporsi sul grande pubblico? Sarà la pellicola che romperà finalmente il sortilegio di Cartoon Saloon in ambito Academy Awards, sottraendo, per una volta, il premio di categoria al quasi incontrastato monopolio Disney Pixar?
L’unica cosa che possiamo fare è incrociare le dita e consigliarvi la visione (in lingua originale), poiché quella di Tomm Moore e Ross Stewart è un’opera di grande cinema che tutti - amanti dell’animazione e non - dovrebbero vedere. Un prodotto che riesce a “tirare le orecchie” alla sopracitata Pixar, “prendendo in prestito” alcune intuizioni di uno dei suoi progetti di maggior successo, ossia Ribelle - The Brave, e facendolo molto meglio. Che (per rimanere in tema Disney) inverte, in maniera abile e suadente, la tendenza pseudo-fotorealistica degli ultimi prodotti della casa di Topolino. E che, per racconto, tematiche, filosofia e sensibilità attuativa, è quanto di più simile alle produzioni Ghibli.
Un film che, ancor prima di abbracciare derive familiari, amichevoli, femminili-emancipatorie o ecologico-naturalistiche, coinvolge in modo assoluto, perennemente accentuato (merito di una colonna sonora intima, da ascoltare e riascoltare) e funzionalmente inderogabile, specie trattandosi di un prodotto pensato anche e soprattutto per un pubblico di bambini. Una pellicola che - proprio poiché si rivolge anche ad un pubblico di bambini - si dimostra estremamente coraggiosa in alcune scelte grafiche e in un paio di risvolti di trama del terzo atto: inaspettatamente maturi e complici nell’inaugurazione di vette di pura emotività e tensione drammaturgica.
In definitiva, una magnifica opera animata che, sì, guarda al passato in termini di stile e stimoli grafico-visuali, ma, se e quando lo fa, è solo per offrirci un universo narrativo emblematico e fresco, che esaurisce e sprigiona tutta la propria forza ed incisività in poco meno di due ore; che vorrebbe e dovrebbe affermarsi qui e ora, ma che è, ciononostante, orientato verso il futuro e - vuoi per la tecnica d’animazione o per la fattura generale - verso un’eventuale atemporalità.
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