TITOLO ORIGINALE: A Hidden Life
USCITA ITALIA: 27 agosto 2020
USCITA USA: 13 dicembre 2019
REGIA: Terrence Malick
SCENEGGIATURA: Terrence Malick
GENERE: drammatico, biografico, storico
La storia vera di Franz Jägerstätter, contadino austriaco divenuto obiettore di coscienza in seguito all’ascesa del nazismo e allo scoppio della seconda guerra mondiale. Se il cinema fosse solo spettacolo visivo, La vita nascosta sarebbe il capolavoro che molti decantano. L’ultima fatica di Terrence Malick si presenta invece come un prodotto inutilmente prolisso che, dietro una facciata da flusso di coscienza riflessivo ed impegnato, nasconde un’essenza didascalica costantemente presente. Da un punto di vista formale, la pellicola di Malick è un prodotto curato attentamente ed emozionante in moltissimi suoi punti. Purtroppo, questa tecnica ineccepibile non trova il giusto equilibrio rispetto ad una scrittura esaustiva che trasforma la visione in un’esperienza estenuante. Un’opera visivamente ineccepibile, ma del tutto priva di ritmo.
“Il bene crescente del mondo è parzialmente dipendente da atti ignorati dalla storia; e se le cose non vanno così male per te e per me come avrebbe potuto essere, si deve in parte al numero di persone che vissero fedelmente una vita nascosta, e riposano in tombe dimenticate”. La vita nascosta. Terrence Malick. Franz Jägerstätter. Seconda guerra mondiale. Nazismo. Un conflitto esistenziale divenuto poi motivo di martirio. Tutto ciò riassunto e sintetizzato nella citazione che avete appena letto, tratta dal romanzo Middlemarch ad opera di George Eliot. Molte difficoltà hanno e continuano tuttora ad ostacolare la distribuzione nostrana de La vita nascosta - ad oggi, in programmazione in sole 13 sale su tutto il territorio nazionale -: una ripresa difficoltosa dei cinema, un passaggio di testimone sofferto - da 20th Century Fox a Disney -, una durata non indifferente (ben 3 ore). La cosa che sorprende, nonostante tutto, è il fatto che stiamo parlando di un autore del calibro di Terrence Malick - regista pluripremiato e autore di grandi successi come La sottile linea rossa (1998) e The Tree of Life (2011). Un Terrence Malick che, dopo il pessimo e contestato Song to Song (2017), sta vivendo un periodo derivante e calante della propria carriera e che, proprio in occasione della presentazione a Cannes 2019 della pellicola in oggetto, aveva promesso di esser tornato ad uno stile e visione più tradizionali; di aver compiuto un autentico ritorno alle origini. Al contrario di ogni premessa ed anticipazione, però, l’ultima fatica del regista statunitense non riesce, purtroppo o per fortuna, a dimenticare quell'indole e leitmotiv che hanno contraddistinto i suoi ultimi lavori, presentandosi agli occhi del pubblico come la naturale continuazione di suddetta tendenza.
La pellicola è la biografia di un contadino austriaco-obiettore di coscienza, Franz Jägerstätter, che nel 1938 - in seguito all'annessione dell’Austria ai territori del terzo Reich e all'incedere dello scoppio della seconda guerra mondiale -, decide di schierarsi non solo contro la chiamata alle armi, ma anche a sfavore di ideologia e simbolismo nazisti. Per questa grande e coraggiosa scelta etico-morale, Franz Jägerstätter verrà condannato a morte per tradimento nell'agosto del 1943. Al suo decimo lungometraggio, il cineasta opta dunque per un soggetto storicamente importante e dall'elevata caratura introspettiva e morale, discostandosi, almeno all’apparenza, dalla piega sentimentale imboccata con To the Wonder (2012) - amore che, malgrado ciò, rimane una delle dimensioni fondamentali attorno a cui si impernia l’intero racconto.
Andando pertanto ad analizzare più nel dettaglio la pellicola, La vita nascosta può essere riassunto con due soli aggettivi: esaustivo ed estenuante. Tali aggettivi portano con sé numerosi pregi, ma anche altrettanti difetti, decretando una parziale riuscita dell’opera. Esaustivo si riferisce principalmente alla qualità e trattazione del contenuto a disposizione del cineasta, mentre estenuante è il risultato di una serie di elementi che qualificano, in tal senso, l’esperienza cinematografica. Il dramma e contrasto introspettivo di Franz è tratteggiato in maniera sublime dalla macchina da presa di Malick che, proprio all'interno di questo film, raggiunge una delle sue vette maggiori, sia a livello di visione registica che di costruzione vera e propria dei piani. Un uso persistente della camera a mano, corredata regolarmente ad un grandangolo opprimente e soffocante, è il carattere distintivo di una direzione personalissima, volutamente sgraziata e dalle forti volontà emotive e meraviglianti - non tanto per la forma in sé quanto per ciò che viene inquadrato - che, fusa con interpretazioni magistrali ed espressive e lo stupore generato da ambientazioni suggestive e immense, si configura come componente ineccepibile e fondante l’intera produzione. Malick appaga e sazia il pubblico, mettendo in scena momenti familiari, bucolici ed umanamente deliziosi - incorniciati da ambienti veraci e sorprendenti -, per poi prenderlo in contropiede con sequenze, al contrario, estremamente drammatiche e tragiche.
Il contrasto di per sé funzionerebbe pure, tuttavia, il vero problema de La vita nascosta e della sua riuscita complessiva è l’approccio abbondante ed avido che regia e montaggio - quest’ultimo forse fin troppo sproporzionato rispetto ad un racconto così sensibile e delicato - adottano nei confronti del girato; così affezionati e soddisfatti del materiale ottenuto da volerlo includere, per intero e a tutti i costi, nella cut finale della pellicola. Via libera dunque a situazioni e momenti ripetuti ad oltranza per tutta la durata del lungometraggio (per esempio, le molteplici scene in cui Franz e la moglie Franziska si scambiano affettuosità) che, combinati con una sceneggiatura che fa proprio dell’eccesso contenutistico il suo tratto distintivo, danno origine ad una prova d’autore che non riesce a (o vuole) “giocare di scarto”.
Come affermato poco sopra, questa abbondanza è prerogativa sostanziale anche della sceneggiatura che, configurandosi fin da subito come vero punto di contatto tra il tanto promesso ritorno alle origini e la continuazione di quella stessa inclinazione riflessivo-esistenziale che è cardine del Malick recente, rappresenta una delle più grandi storture dell’opera. Reggendosi fondamentalmente su un gigantesco flusso di coscienza-scambio epistolare, lo script è proprio il comune denominatore proprio dei due aggettivi menzionati sopra. Una collezione di frammenti vitali - separati tra loro mediante dissolvenze in chiusura - compongono una mostrazione tanto elaborata quanto esaustiva di un sacrificio in nome del libero arbitrio e della verità, di cui, ciò nonostante, poteva essere sacrificata una buona metà. Difatti, tale esaustività - certamente funzionale alla creazione di un’immedesimazione totale dello spettatore nei confronti di vicenda e protagonisti - non è bilanciata da una porzione dialogica ugualmente efficace e da un ritmo sostenuto (alla The Irishman (2019), per intenderci), favorendo quindi uno stato di crescente estenuazione. L’intento argomentativo della pellicola è così chiaro fin dai primi minuti e le volontà emozionali così lampanti che tutti i vari monologhi e riflessioni esistenziali presenti - spesso divisi tra confusione e prevedibilità - appaiono quasi come una spiegazione didascalica e non richiesta di un qualcosa che, già di per sé, è ben evidente.
Nel racconto di una storia di libero arbitrio privato, Terrence Malick avrebbe potuto dimostrare lui stesso libero arbitrio - chiamasi anche consapevolezza - nel fare una cernita di sequenze e contenuti. Tra abbracci e baci, momenti di sconforto e momenti di gioia e amore, La vita nascosta non nasconde certamente i propri ingranaggi, dando prova di un’esposizione narrativo-argomentativa che, per lo spettatore, si converte in croce e delizia. Il film è sì una sinfonia intimista e vulnerabile, guidata dalle voci dell’anima, della natura e da un’indomita coscienza esistenziale, da gustare obbligatoriamente su grande schermo, ma è anche un’opera che, stressando la propria componente riflessiva, penalizza un’azione ed un ritmo quasi del tutto assenti, se non per la magniloquente e personale costruzione registica messa in atto. Se il cinema fosse solo spettacolo visivo, allora La vita nascosta sarebbe il capolavoro tanto decantato. Purtroppo per Malick (e per Franz), la Settima Arte è anche contenuto e messaggio. In definitiva, l'ultima fatica del cineasta statunitense si conferma come spontaneo e non richiesto proseguimento della corrente stilistica iniziata con The Tree of Life. Un film dai propositi chiari e diretti, ma che, sfortunatamente, non colpisce come vorrebbe.