TITOLO ORIGINALE: Bombshell
USCITA ITALIA: 17 Aprile 2020
USCITA USA: 20 Dicembre 2019
REGIA: Jay Roach
SCENEGGIATURA: Charles Randolph
GENERE: drammatico, biografico
PREMI:
1 PREMIO OSCAR per MIGLIOR TRUCCO e ACCONCIATURA
E' finalmente disponibile, in esclusiva su Amazon Prime Video, il film di Jay Roach vincitore di un premio Oscar ed incentrato sul reale scandalo riguardante Fox News e le accuse di molestie nei confronti del dirigente Roger Ailes. Un tris di interpretazioni immedesimate, espressive e potenti - semplicemente magnifiche - arricchisce una pellicola tutto sommato riuscita, ma che avrebbe potuto suscitare molte più emozioni e riflessioni nello spettatore, se solo fosse stata più incisiva e brutale. Una sceneggiatura frenetica e fluida bilancia una messa in scena fin troppo classica e per nulla inedita ed una regia che tenta di scimmiottare lo stile di Adam McKay. Ciononostante, Bombshell rimane un film da vedere assolutamente anche solo per il tema trattato.
“Perché un network vada in onda 24 ore su 24 serve qualcosa che attiri l’attenzione. Secondo voi, perché il tavolo è trasparente?”. Questa una delle molteplici domande che caratterizzano Bombshell, ultima fatica di Jay Roach – nome registico abbastanza sconosciuto al grande pubblico, cui notorietà è legata soprattutto alla pellicola del 2015 con Bryan Cranston protagonista, basata sulla storia vera dello sceneggiatore Dalton Trumbo. Per la sceneggiatura, Roach si avvale di una figura come quella di Charles Randolph, vincitore del premio Oscar per La grande scommessa, film d’inchiesta di Adam McKay sulla crisi finanziaria del 2007-2008. Come largamente anticipato e pubblicizzato, Bombshell racconta del grande scandalo che nel 2016 coinvolse Fox News, la famosissima emittente statunitense di notizie 24 ore su 24, fondata da Roger Ailes e Rupert Murdoch. Sullo sfondo della candidatura alla presidenza di Donald Trump, la pellicola si focalizza, in particolar modo, sull’accusa di molestie sessuali – in cambio di una promozione e di supporto lavorativo – portata avanti inizialmente dalla sola Gretchen Carlson, ex-conduttrice del canale, nei confronti dello stesso Ailes. La querela della Carlson porterà alla luce un comportamento simile e seriale, da parte di Ailes, nei confronti di quasi tutte le conduttrici del canale. Oltre a Gretchen Carlson, il lungometraggio di Roach segue anche le orme di altre due personalità di Fox News – una rinomata, l’altra emergente -, entrambe vittime e testimoni dei crimini di Ailes. Sto parlando di Megyn Kelly – una delle più famose conduttrici del network, tra le principali protagoniste del dibattito sull’elezione di Trump e delle indagini contro il fondatore di Fox News – e di Kayla Pospisil – giovane ed affascinante ragazza, appena approdata nel mondo della televisione; questa abbandona lo staff di Gretchen per fare il passo successivo, che, purtroppo, la condurrà direttamente nelle fauci del lupo. Concentrandosi principalmente sulle figure delle tre personalità appena elencate, Bombshell approfondisce, seppur in modo non troppo originale e nuovo, una lotta per la verità e per la giustizia realmente accaduta; una vera e propria battaglia contro l’oggettivazione e sfruttamento imperante e dilagante del corpo femminile che, ancora oggi, ha nella televisione uno dei suoi mezzi espressivi principali.
Come illustrato sopra, alla conduzione del progetto troviamo l’abbastanza anonimo Jay Roach – nonostante questi conti, all’attivo, ben 13 pellicole nella sua filmografia, tra cui il già citato L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo e la trilogia parodica e comica dedicata al personaggio di Austin Powers -, il quale tenta un approccio registico abbastanza conciliante nei confronti del racconto e della rappresentazione. Tutt’altro che autoriale e riconoscibile – come ci si aspetterebbe da un film del genere -, la direzione di Roach, da un lato, tenta di apportare alla produzione quel tocco tipico e distintivo dell’estetica e dello stile di Adam McKay (La grande scommessa, Vice – L’uomo nell’ombra) – fatto di frenesia, dinamicità e spettacolarizzazione drammatica ed enfatica dell’inchiesta e della vicenda -, dall’altro lato, dà prova di una costruzione fin troppo classica, tradizionale ed accomodante dell’impalcatura filmica. Scimmiottando una tecnica ed una visione che non rispettano appieno le proprio corde registiche e che non gli appartengono del tutto, e tentando, allo stesso tempo, di dar vita ad una regia che sostenga e potenzi la sceneggiatura di Randolph; Roach confeziona una prova gravemente deludente e che non restituisce integralmente la grandezza e l’enfasi che caratterizzano sia il racconto filmico che la storia vera alla base del film. Se Bombshell fosse stato diretto, per l’appunto, da un nome registico come quello di Adam McKay, la pellicola avrebbe sicuramente beneficiato di spunti e soluzioni creative ed estetiche più efficaci e memorabili. Ciononostante, questa stanchezza ed abbattimento di Roach nella regia e nella messa in scena – convenzionale ed abbastanza classica; nulla che faccia urlare al capolavoro – vengono accelerati e supportati da un montaggio dinamico, vivace, fluido, alla McKay per l’appunto – caratterizzato dall’inclusione di materiale originale e d’archivio, costanti salti temporali e rimandi e ricostruzioni visive di ciò che viene detto a parole dai personaggi mediante il classico voice-off – e da una complicità ed una chimica disarmante da parte delle tre interpreti principali (che vede, nella scena dell’ascensore, la sua manifestazione più lampante ed esemplare). Questi due aspetti in particolare sono ciò che fanno di Bombshell un’esperienza gradevole e scorrevole che intrattiene e coinvolge lo spettatore. Pur non riuscendo a trovare una dimensione espressiva propria e coerente con l’importanza ed il calibro del progetto, tuttavia, la regia di Roach riesce a valorizzare ugualmente ed esponenzialmente le ispirate ed immedesimate prove attoriali da parte del trio Theron-Kidman-Robbie.
Tra le tre, la Theron rappresenta senza dubbio l’anima costitutiva e trascinante della pellicola, regalando una performance dura, decisa e granitica del personaggio di Megyn Kelly – già sulla carta, donna magnetica, ammirevole e determinata – che le è valsa una candidatura agli scorsi premi Oscar in qualità di miglior attrice. Ad accompagnarla, una Nicole Kidman abbastanza nella norma – la più “dimenticabile” delle tre -, che però non sfigura se confrontata con la recitazione della Theron; ed una Margot Robbie – candidata al premio Oscar per il film – sempre più “lanciata” e sublime nel ruolo, direi azzeccatissimo, di una giovane appena approdata nel mondo televisivo -come, più o meno, lo è realmente l’attrice, per quanto riguarda il panorama cinematografico, se confrontata alle due colleghe. Dopo le grandissime interpretazioni di Harley Quinn nel, tuttavia, deludente Birds of Prey, di Sharon Tate nello stellare C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino e della sopraccitata Kayla Pospisil, l’annata 2019-2020 si conferma essere un vero e proprio periodo d’oro per la giovane australiana – tra le più promettenti e talentuose della sua generazione. A consolidare le interpretazioni di questo parterre di grandi attrici, una somiglianza fisiognomica stupefacente di tutto il cast con le proprie controparti reali – soprattutto per quanto riguarda l’attore che veste i panni di Roger Ailes, John Lithgow, che, oltre a somigliare incredibilmente all’ex-amministratore Fox, regala una prova attoriale incredibilmente soddisfacente ed ispirata – ed una caratterizzazione puntuale, efficace ed incisiva dei personaggi.
Collaboratore di registi come Alan Parker, Sydney Pollack e Adam McKay, Charles Randolph tenta di conferire alla sceneggiatura di Bombshell l’anima e il cuore che contraddistinguono quella de La grande scommessa (per il quale, ripeto, l’autore vinse la sua prima statuetta nel 2016), dando luogo ad un racconto d’inchiesta e denuncia che, tuttavia, risulta monco, manchevole e docile, se paragonato al mordente e potenza della pellicola precedente. A differenza della regia di Roach, tuttavia, la scrittura di Randolph riesce comunque a dar vita ad una vicenda frenetica, all’ultimo respiro e che genera – seppur in forma troppo limitata – reazioni e riflessioni nello spettatore (in particolare, nelle molteplici, ma estremamente incisive, rotture della quarta parete). Come spiegato sopra, la costruzione dei personaggi rappresenta, senza dubbio, la punta di diamante della scrittura di Randolph: così efficace, plausibile e convincente da suscitare nel pubblico una naturale immedesimazione e coinvolgimento empatico e viscerale nei confronti del trauma e del dramma vissuto dalle protagoniste del racconto. Un ulteriore elemento lodevole è, inoltre, l’attenzione prestata a dettagli e piccolezze, all’apparenza, inutili, ma che elevano notevolmente la rappresentazione e la costruzione filmica. Un esempio a sostegno di questa tesi è individuabile nella sequenza in cui il personaggio di Charlize Theron, titubante sul da farsi, dedice di sfogarsi con uno dei membri del suo staff, nascondendosi in uno studio di registrazione di Fox News Radio per ripararsi da orecchie indiscrete. Entrando nella stanza, prima di iniziare a parlare, Megyn ha l’accortezza di staccare i collegamenti di due microfoni atti all’attività radiofonica, nel caso che qualcuno stesse registrando la sua conversazione con il collega (il movimento pare così istintivo e naturale da sembrare quasi improvvisato). Questo ed altre innumerevoli accortezze, uniti ad un evidente lavoro di ricostruzione e di sintesi dei fatti del 2016, non fanno che elevare il lavoro autoriale svolto da Randolph. Detto ciò, come intuibile dall’affermazione posta ad inizio paragrafo, il lavoro di quest’ultimo risente ed è percorso però da un continuo senso di tutela e di preservazione di particolari crudi e scabrosi agli occhi e alle orecchie degli spettatori. Si tenta di impressionare e scioccare lo spettatore con il racconto, per fare un esempio, degli abusi subiti dal personaggio della Kelly – corredato dalla rappresentazione visiva del fatto – ma ci si ferma alle avances, senza mostrare altro e senza andare oltre, lasciando il resto all’immaginazione, neanche troppo stimolata, dello spettatore. Bombshell non riesce quindi a compiere quel semplice passo in avanti che lo avrebbe elevato sicuramente a qualcosa di più, non riesce a colpire veramente lo spettatore, accontentandosi di qualche sporadico momento d’inchiesta, denuncia e racconto, in modo dettagliato ed approfondito, delle molestie in sé.
Il film non genera, di conseguenza, un vero effetto di turbamento ed indignazione e non scuote il pubblico ai livelli di quanto fece e continua a fare La grande scommessa. Se fosse stata leggermente più provocatoria e brutale ed avesse adottato un atteggiamento maggiore di sfida e ricerca e dimostrazione della verità – che fuoriesce quasi unicamente nelle classiche scritte su fondo nero prima dei titoli di coda -, la pellicola di Roach avrebbe realmente colpito nel segno, lasciando un’indelebile impronta nella memoria dello spettatore. Infine – in aggiunta ad una progressione fin troppo divisa e frammentata degli archi narrativi individuali -, l’ultimo scivolone, ravvisabile nella sceneggiatura di Randolph, è purtroppo la presenza di un focus – dettato di sicuro dalla grandezza delle tre attrici principali – eccessivamente incentrato sul fantomatico trio ed un’esplorazione risicata e superficiale delle altre vittime di molestie ed abusi di Roger Ailes e degli effetti e risposte che lo scandalo ebbe sull’opinione pubblica. Completano il mosaico Bombshell, in ultima battuta, una fotografia abbastanza trascurabile ed una colonna sonora, firmata da Theodore Shapiro, invece, incredibilmente ritmata ed intrigante, che vede nel brano Explode uno dei suoi picchi. Se, in C’era una volta a… Hollywood, Tarantino sbatte letteralmente in faccia allo spettatore i piedi di Sharon Tate, interpretata, per l’appunto, da una grandissima e tenerissima Margot Robbie, Jay Roach fa praticamente lo stesso in una delle sequenze centrali ed emblematiche della pellicola. Quest’ultimo, tuttavia, non si limita soltanto ai piedi della Robbie ed ovviamente supera la giocosità della scelta registica tarantiniana, andando così a rappresentare in modo viscerale ed emblematico – grazie anche e soprattutto alla bravura degli interpreti – il dramma attualissimo e persistente della molestia e dell’oggettivazione del corpo femminile, due tra le piaghe principali della società occidentale contemporanea.
In conclusione, nonostante la presenza di un paio di momenti, tutto sommato, riusciti e caratterizzati da una notevole trasmissione emotiva e tematica, Bombshell sfortunatamente non riesce ad emergere. Le basi ci sarebbero tutte ed il film parte sicuramente in vantaggio, avendo dalla sua una base narrativa attuale ed avvincente ed un cast composto da eccellenze attoriali. Pur con queste premesse, una regia e messa in scena abbastanza statiche e fin troppo debitrici e l’assenza di un vero e proprio sentimento e volontà provocatoria e di vera denuncia spengono e sublimano irrimediabilmente la plausibile promozione a pieni voti di una pellicola che, tematicamente parlando, nonostante i difetti, rimane comunque profondamente attuale e necessaria.