TITOLO ORIGINALE: Saving Private Ryan
USCITA ITALIA: 23 ottobre 1998
USCITA USA: 24 ottobre 1998
REGIA: Steven Spielberg
SCENEGGIATURA: Robert Rodat
GENERE: guerra, drammatico, azione, storico
PREMI: 5 PREMI OSCAR tra cui MIGLIOR REGIA e MIGLIOR FOTOGRAFIA
Steven Spielberg firma uno dei film di guerra più celebri e amati di tutti i tempi. Vincitore di 5 premi Oscar, tra cui quello per la miglior regia, il film può fregiarsi di un cast ben assortito ed immedesimato, una regia coinvolgente ed intima che rende il tutto incredibilmente fluido, nonostante le quasi tre ore di durata, ed una sceneggiatura avvincente che, seppur con qualche banalità e twist prevedibile, ha fatto scuola, influenzando numerosi esponenti contemporanei del genere come Dunkirk o 1917.
1998. Un veterano si trova in Normandia (Francia) con la sua famiglia per visitare un cimitero di guerra alleato in cui, presumibilmente, si trovano molti dei suoi compagni. Avvicinandosi ad una tomba, egli ha una specie di mancamento che lo riporta indietro con la memoria a più di cinquant’anni prima. Per la precisione, al 6 giugno 1944, giorno del D-Day o, più comunemente, sbarco in Normandia, una delle più grandi invasioni anfibie della storia, portata avanti dalle forze alleate durante la seconda guerra mondiale per dar vita ad un secondo fronte in Europa e penetrare nella Germania nazista, alleggerendo, allo stesso tempo, quello orientale. Si calcola che, durante questa sanguinosa, tremenda, ma sorprendentemente efficace operazione persero la vita poco meno di 11.700 uomini per l’esercito alleato e tra i 4000 e i 9000 per quanto riguarda quello nazista. Qualche istante prima dell’effettivo sbarco, la macchina da presa presenta allo spettatore il personaggio del capitano Miller (Tom Hanks). Quel giorno, il capitano della Compagnia C del 2º Battaglione Ranger partecipa, insieme ai suoi uomini, alla fantomatica presa di Omaha Beach. Appena i mezzi di sbarco toccano terra ed iniziano a far scendere gli uomini, le forze alleate vengono investite da un pioggia di proiettili ed ordigni esplosivi che decimano velocemente le fila della fanteria. I mezzi pesanti vengono disabilitati e i soldati si ritrovano così in pieno territorio nemico senza possibilità di rinforzo e di aiuto. Tutto dipende da loro, dal proprio stile di combattimento, dalle proprie armi, della propria forza di volontà e dai loro nervi saldi. Ragazzi che chiedono aiuto, menomazioni, arti che volano da tutte le parti. Nessuno viene risparmiato. Inaspettatamente, anche se in minoranza schiacciante e debilitato da una decimazione delle proprie forze, il corpo comandato dal capitano Miller sopravvive alle mitragliatrici tedesche e riesce, non con pochi sforzi, a farsi largo tra le forze nemiche, arrivando a neutralizzare le postazioni di difesa della spiaggia. Il fronte occidentale è realtà e ora sempre più truppe possono farsi largo in territorio francese con direzione Berlino. Ciò nonostante, Miller e i suoi uomini non possono lasciare il campo di battaglia. A Washington, il capo di stato maggiore dell’esercito generale George Marshall viene a sapere della morte in combattimento di tre dei quattro fratelli Ryan. Il quarto e ultimo Ryan, per essere più precisi, il paracadutista James Francis Ryan (Matt Damon), è disperso dopo i lanci avvenuti poche ore prima del D-Day. Gli ordini per Miller e compagni sono chiari: infiltrarsi nell’entroterra francese, trovare Ryan e riportarlo sano e salvo in suolo americano. Anche se molto limpida, come ovvio che sia la missione sarà tutt’altro che una passeggiata, mettendo a dura prova i nervi e l’integrità morale, oltre che fisica, dei soldati della Compagnia C.
Steven Spielberg, regista di film immortali e memorabili come Schindler’s List, Jurassic Park e I predatori dell’arca perduta, dopo l’esperienza con il magnifico L’impero del sole, nel 1998, torna al war movie, dirigendo una delle pellicole più rappresentative del genere. Per la produzione di Salvate il soldato Ryan, Spielberg decide di fare ampio uso della camera a mano, con cui gira la quasi totalità della pellicola – non contando carrellate, inquadrature a volo d’uccello e piani totali realizzati mediante l’utilizzo di dolly e gru. Parallelamente alla scelta di sfruttamento della camera a mano, Spielberg dimostra una tendenza alla costruzione di piani sequenza in più di un’occasione, pur non disdegnando un approccio più classico basato sul montaggio vero e proprio (frenetico, ritmato e vincitore del premio Oscar) dei vari campi. Questa direzione e creazione di piani, direi, quasi emotional, ovvero emotiva e viscerale, aiuta esponenzialmente l’immedesimazione dello spettatore nelle vicende della pellicola, facendolo sentire quasi come un soldato in mezzo al marasma del combattimento, in mezzo a tutto quel rumore frastornante di proiettili e granate, in mezzo a tutto quel fango. Coniando un paragone recente, in moltissime delle sequenze di Salvate il soldato Ryan sembra di trovarsi catapultati nel bel mezzo di un videogioco di guerra come può essere un Call of Duty. Peccato però che proprio questa serie video-ludica sia stata una delle tante a prendere a piene mani dalla pellicola di Spielberg, quindi, al massimo, il confronto si può fare in un’ottica prettamente futura, sapendo ciò che sarebbe stato e venuto dopo. Moltissimi sono gli aspetti, tra cui, in primo luogo, la regia, che hanno elevato Salvate il soldato Ryan al grado di cult e capolavoro del cinema – anche se, da un punto di vista oggettivo, la pellicola presenta qualche difettuccio. Infatti, se, da un lato, questi movimenti e questo uso frequente della camera a mano riescono nell’arduo compito di coinvolgere immediatamente e costantemente il pubblico nell’azione del racconto, restituendo e trasmettendo perfettamente la frenesia e il caos del conflitto; dall’altro lato, in certi punti, queste stesse inquadrature appaiono fin troppo confusionarie e, in alcuni momenti, tendono a risultare leggermente ripetitive e meccaniche. Questi minimi scivoloni nella regia di Spielberg vengono comunque oscurati e obliterati da una messa in scena indubbiamente avvincente e struggente, con tendenze al simbolico e metaforico.
Scene violentissime, cruente ed arricchite da una resa realistica ed estremamente dura di ferite, menomazioni e smembramenti sono la base di sequenze che sono entrate di diritto nella storia del cinema. Nonostante la presenza cospicua di momenti di combattimento diretto, Salvate il soldato Ryan mantiene una tensione costante anche quando non si spara un colpo, merito sicuramente di un’ottima caratterizzazione filmica e narrativa degli eroi del racconto, ovvero i soldati della Compagnia C di John Miller. Ognuno di loro è in continuo pericolo di vita e questo aspetto il film riesce a trasmetterlo e comunicarlo molto bene allo spettatore, abituandolo a tenere sempre la guardia alta e mediante la costruzione di situazioni in cui i protagonisti si trovano costretti a percorrere pianure e scenari estesissimi in cui anche un cecchino isolato rappresenta un problema serio. Superata infatti la sequenza iniziale dello sbarco – senza dubbio, una di quelle che rimangono più impresse nella mente, insieme a quella della difesa del ponte -, inizia la vera ed insidiosa avventura di Miller e soci in nome del salvataggio di James F. Ryan. Nonostante alcuni buonismi e colpi di scena scontati ed estremamente prevedibili anche per lo spettatore più acerbo, la sceneggiatura firmata da Robert Rodat raggiunge, ad ogni modo, picchi di suspense e tensione mediamente alti, grazie ad una realizzazione narrativa puntuale, palpabile e piena di mordente dei personaggi (anche se alcuni sono più esplorati degli altri) che fa temere per la loro vita, contrasti e dissidi ideologici e nei confronti della missione interni alla Compagnia ed un obiettivo, all’apparenza, impossibile da raggiungere e ritenuto suicida. Servendosi dei personaggi come portavoce e testimoni, la scrittura di Rodat schiaffeggia il pubblico mostrandogli direttamente e senza filtri la sofferenza, il dolore, la perdita e tutti gli annessi e connessi del conflitto. Nel film si affrontano inoltre svariati temi etici e morali come la perdita della pietà e, di conseguenza, dell’umanità, il prezzo della vittoria e della vita di un soldato, la religione e la fede come giustificazione di questi massacri e di queste uccisioni così cruente e sanguinarie (quest’ultimo aspetto rimane tuttavia fin troppo nebuloso).
Costruito come un gigantesco flashback e seguendo una struttura circolare, il racconto in sé di Salvate il soldato Ryan è estremamente lineare nello svolgersi degli eventi e deve parte della sua ispirazione, senza dubbio, ad Apocalypse Now, capolavoro immane di Coppola e della storia del cinema datato 1979. Se ci si ragiona e si presta attenzione ai dettagli, è possibile notare una certa somiglianza, all’opposto, tra i due film. Nella pellicola di Coppola, abbiamo un agente dell’esercito americano che viene inviato nella giungla cambogiana per uccidere un soldato modello, convertitosi alla causa del nemico. Nel film di Spielberg, una compagnia di soldati deve infiltrarsi oltre la linea del fronte per portare in salvo un commilitone. Nel primo, ci troviamo di fronte ad un mandato di esecuzione, nel secondo, invece, si ha un salvataggio. Nonostante siano due incipit agli antipodi, questo aspetto delle sceneggiature di entrambe le produzioni viene utilizzato, da ambe le parti, come pretesto e premessa per sfociare in un’esplorazione intima, emotiva e a volte scioccante di ciò che il genere umano è in grado di compiere in nome della guerra. Tuttavia, se in Apocalypse Now questo elemento è al centro della narrazione, in Salvate il soldato Ryan si ha una visione più obiettivo-centrica. Detto questo, bisogna anche aggiungere che, al posto della sceneggiatura, è proprio la regia di Spielberg ad apportare quel senso di intimità maggiore. E’ vero, le due pellicole sono lontane anni luce l’una dall’altra da un punto di vista sia di qualità filmica che di importanza storica. Ciò nonostante, Salvate il soldato Ryan può essere visto ed inteso come una possibile evoluzione, molto valida, riuscita ed accordata ai tempi e ai gusti moderni, del capolavoro di Coppola. Il coinvolgimento e l’irrequietudine generale da parte dello spettatore sono dovuti in larga parte al montaggio di Michael Kahn, il quale, per collegare tra di loro i segmenti della missione della Compagnia C, si avvale di stratagemmi anche molto intelligenti ed inusuali. Parlo, per fare un esempio, della pioggia che batte insistentemente sulle foglie che diventa ben presto una raffica di proiettili. Così facendo, Kahn abbandona il contesto e l’ambientazione naturale per pararci davanti ad una cittadina in macerie.
Il film è stato girato tra Normandia e località della Gran Bretagna, quindi non nella Francia continentale in cui si svolge il racconto. Pur con questa dislocazione dei set, ogni singola ambientazione di Salvate il soldato Ryan colpisce per la sua apparente autenticità, riuscendo a rimandare la mente dello spettatore a foto, cinegiornali e testimonianze di quei sanguinosi ed angoscianti campi di battaglia. Merito di questa parvenza di veridicità storica, assunta dagli ambienti del film, è sicuramente attribuibile alla fotografia di Janusz Kaminski (premiata con un Oscar per il film). Quasi completamente desaturata, così da ricreare su schermo i colori dei report di guerra degli anni quaranta a bassa tecnologia, il lavoro di Kaminski contribuisce drasticamente alla realizzazione di un tono fotografico estremamente realistico e che riflette il periodo storico in cui la pellicola è ambientata. <<Inizialmente – spiega Spielberg in un’intervista sul film -, entrambi sapevamo che non volevamo che questo sembrasse un Technicolor ambientato nella seconda guerra mondiale. Kamiński aveva infatti rimosso dalle lenti delle cineprese il loro rivestimento protettivo, rendendole più simili a quelle del periodo storico del conflitto>>. Il direttore della fotografia commenta invece che <<senza rivestimento protettivo, la luce finisce nell’obiettivo e comincia a rimbalzare indietro rendendola leggermente meno diffusa e più morbida, senza sfocare l’immagine. Il processo è stato completato infine attraverso il bleach bypass del negativo, riducendo così luminosità e saturazione del colore>>. Buona parte delle lodi nei confronti del film sono rivolte infine al comparto sonoro in toto – che trionfa con ben 2 statuette -, il quale regala ben più di un brivido ed un sussulto durante la visione del film, soprattutto negli scontri a fuoco in cui sembra di essere al centro del conflitto.
A completare la magia della pellicola, un cast ben assortito e magnificamente immedesimato nei rispettivi personaggi capitanato da un Tom Hanks espressivo e in gran lustro in una delle sue interpretazioni migliori, un Matt Damon giovanissimo che, seppur compaia poco su schermo, rimane impresso nella memoria dello spettatore ed un Jeremy Davies umano e fragile che rappresenta un po’ la guida morale ed etica della squadra, permettendo a tutti di rimanere umani e non convertirsi in mostri assetati di sangue. Senza dubbio, esiste un prima e un dopo Salvate il soldato Ryan, una delle pellicole che più ha rivoluzionato il panorama del war movie moderno, andando a creare un quasi impeccabile modello a cui molti registi ed autori si sono ispirati nei decenni successivi, arrivando fino ai giorni nostri. Nonostante qualche elemento prevedibile, un buonismo forse eccessivo ed un patriottismo fin troppo marcato ed ostentato, l’opera di Spielberg è e rimarrà per sempre un gigantesco kolossal che ha spinto e spingerà inevitabilmente gli spettatori a ricordare, prestando omaggio a tutti i caduti e alle giovani vite sacrificate per riportare pace, libertà ed equilibrio nel mondo. Un film tra i più amati ed apprezzati della storia del cinema, immortale e mitico che, ancora oggi, emoziona e fa riflettere. Una pellicola, divenuta ormai leggenda, che ha lasciato e continuerà a lasciare indubbiamente un segno nel panorama cinematografico mondiale e nella mente di noi spettatori.
Steven Spielberg firma uno dei film di guerra più celebri e amati di tutti i tempi. Vincitore di 5 premi Oscar, tra cui quello per la miglior regia, il film può fregiarsi di un cast ben assortito ed immedesimato, una regia coinvolgente ed intima che rende il tutto incredibilmente fluido, nonostante le quasi tre ore di durata, ed una sceneggiatura avvincente che, seppur con qualche banalità e twist prevedibile, ha fatto scuola, influenzando numerosi esponenti contemporanei del genere come Dunkirk o 1917.