TITOLO ORIGINALE: Qu'est-ce qu'on a tous fait au Bon Dieu? 3
USCITA ITALIA: 1 dicembre 2022
REGIA: Philippe de Chauveron
SCENEGGIATURA: Philippe de Chauveron, Guy Laurent
GENERE: commedia, drammatico
DURATA: 98 min
L'esilarante ed adorabile famiglia (extra-large) Verneuil torna sul grande schermo, sempre co-scritta e diretta da Philippe de Chauveron, nel terzo capitolo di uno dei più grandi successi del recente corso del cinema d'oltralpe. E lo fa estendendosi, allargandosi, espatriando, ampliando il proprio occhio critico-satirico, fino ad inglobare altre forme, vecchie e nuove, di discriminazione. Compendio dei precedenti due film e more-of-the-same per quel che riguarda le idiosincrasie, gli irrisolti, i tormentoni, Non sposate le mie figlie! 3 vince ancora una volta grazie al suo aspetto più indovinato: l'esattezza e l'imprevedibilità controllata dei propri nomi, volti e corpi attoriali.
Come si dice? Squadra che vince, non si cambia? O forse sarebbe meglio dire si allarga? È proprio questo il caso di Riunione di famiglia, l’insensato titolo che, quantomeno nell’edizione italiana, si è scelto di dare al terzo capitolo di uno dei più grandi successi del recente corso del cinema d’oltralpe.
Stiamo parlando, come avrete già capito, della serie Qu'est-ce qu'on a fait au Bon Dieu?, meglio conosciuta come Non sposate le mie figlie!, il cui primo capitolo, nel 2014, riscosse così tanto clamore in patria da entrare nella lista dei 10 migliori incassi di sempre. Ebbene, per la loro terza apparizione sul grande schermo - rispettivamente otto e tre anni dopo la prima e la seconda -, gli adorabili ed esilaranti coniugi Verneuil dovranno fare i conti con l’arrivo di tutti i consuoceri provenienti dai quattro angoli del globo (dall’Algeria, da Israele, dalla Cina e dalla Costa d’Avorio), invitati dalle figlie e dai rispettivi generi per festeggiare i loro quarant’anni di matrimonio. Una sorpresa o, come la definisce Claude Verneuil col suo irriducibile sarcasmo soft-reazionario, “un’immigrazione” che acuirà le tensioni tra i vari membri della famiglia - in primis, proprio tra la vecchia coppia di borghesi, provinciali e gollisti -, nella quale, nonostante le vicende, il pomo della discordia e il seme della discriminazione e del pregiudizio sembrano ancora serpeggiare.
Si estende, appunto, si amplia, si allarga, si stratificata, si fa ancora più collettivo, lo sguardo satirico, critico, caustico, instancabile di Philippe de Chauveron, così come il suo copione, co-scritto nuovamente col sodale Guy Laurent, e la sua messa in scena, che non solo espatria - seppur fintamente e per pochissimi minuti -, bensì si rifà ad una definizione più particolareggiata e spaziosa di discriminazione, non strettamente e solamente legata al colore della pelle o alle differenti culture e filosofie di vita - che, ciò nonostante, rimangono all’interno del quadro, pure con frecciate molto puntuali, discusse elegantemente, alla questione israeliana con tanto di barriera di separazione.
I due veri punti focali di Non sposate le mie figlie! 3; le due discriminazioni qui accentuate, una più, l’altra meno, sono però quella “geriatrica” (gran parte del racconto ruota infatti attorno alla crisi senile di Marie Verneuil, che non si sente più amata dal marito Claude) e la “greenfobia” (che riguarda, nello specifico, la quarta figlia Verneuil, la minore Laure, riscopertasi animalista, ambientalista e vegana - una linea narrativa che avremmo voluto venisse affrontata meglio).
Detto ciò, non fraintendete le nostre parole: al di là di qualche minimo riferimento al Covid, al lockdown e alle manifestazioni dei gilet gialli, ed un pleonastico detour che allegorizza - mediante le gesta di un nobile tedesco che tenterà di intrufolarsi negli affari (di cuore) di famiglia - la ferita ancora aperta (e tutta francese) dell’invasione e del dominio nazista durante la seconda guerra mondiale; questo terzo capitolo è di fatto un more-of-the-same, un melting pot, un compendio (nuovamente femminista) dei precedenti due, verso i quali si muove una continua opera di riferimenti. Le schermaglie e le dinamiche sono sempre le stesse, come pure gli argomenti, gli irrisolti, i nodi scoperti, le idiosincrasie, i caratteri e le reazioni. Tant'è (e qui si spiega il cambio di titolo) che il film può essere godibile pure se non si sono visti i predecessori e se non si conosce la storia cinematografica dei Verneuil.
Malgrado tutto: ossia una trama ed uno sviluppo meno coinvolgenti, qualche soluzione comica facile, un uso ironico meno sofisticato di montaggio e silenzi, e (verosimilmente) una rappresentazione sproporzionata del parterre di personaggi; la fluidissima, comunque divertente e smaccatamente patriottica macchina di De Chauveron vince.
E riesce a farlo, ancora una volta, grazie a quell’unico aspetto indovinato che, sin dal 2014, ne ha sancito e garantito il successo e, in qualche modo, l’iconicità: l’esattezza dei nomi e, soprattutto, dei corpi e volti attoriali. Dal mattatore Christian Clavier alla raffinatissima Chantal Lauby, passando per i quattro inetti, ma adorabili Ary Abittan, Medi Sadoun, Noom Diawara e Frédéric Chau, fino ad arrivare ai gustosissimi screzi coniugali di Pascal N'Zonzi e Salimata Kamate; è il cast storico e consolidato (più che quello nuovo o sostitutivo) di interpreti a nutrire e suffragare il legame tra racconto e spettatore e a puntellare l’immedesimazione di quest’ultimo con quanto presente su schermo.
La sola variabile che, pur nella sua generale prevedibilità (data dalla scrittura), consente di arrivare ai titoli di coda pure con una lieve ed insolita commozione. Che ci rende parte di questa scombinata ma deliziosa famiglia extra-large, che ha finalmente (ri)trovato le sue radici e il suo futuro, ideale raffigurazione del crogiolo cosmopolita e multietnico di una Francia centrista, renaître, equilibrista, sincretica, macroniana.
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