TITOLO ORIGINALE: L'immensità
USCITA ITALIA: 15 settembre 2022
REGIA: Emanuele Crialese
SCENEGGIATURA: Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni
GENERE: drammatico, biografico
In concorso alla 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Undici anni dopo Terraferma, Emanuele Crialese torna al cinema con L'immensità, dramma autobiografico in cui infonde tutto il proprio amore per la madre, interpretata da una Penélope Cruz raggiante, e il proprio disagio all'interno di una società, quella italiana di pieni anni ‘70, profondamente maschilista e fallocentrica, ipocrita, perbenista, cristiana, manesca e classista. Purtroppo, il risultato finale è un film che vuole suscitare emozioni a tutti i costi nello spettatore, tuttavia senza metterci troppo impegno. E, da storia di una giovinezza sofferente, repressa, precoce, avanti sui tempi che avrebbe dovuto essere, L'immensità diventa un film su di una donna vittima di un sistema patriarcale infantile, soffocante e velenoso. Una grande occasione sprecata di cui ricorderemo soltanto i momenti di reinterpretazione di Raffaella Carrà, Adriano Celentano e Patty Pravo.
Quest’anno, al Lido sono approdati due film che trattano uno dei temi più importanti ed urgenti della contemporaneità, ovvero la transessualità, o quantomeno il non riconoscimento del sesso con cui si è nati. Strano ma vero, entrambi questi film sono di matrice italiana.
Uno è Monica di Andrea Pallaoro e (non) racconta la storia di una ragazza trans che, anni dopo essere scappata di casa, vi torna per accudire la madre in fin di vita, la quale ovviamente la scambia per un’infermiera, una tutrice inviata di servizi sociali.
L’altro si intitola L’immensità ed è niente più che il viaggio nostalgico del regista Emanuele Crialese nella propria infanzia romana. Un film dunque autobiografico che vede la luce undici anni dopo il suo ultimo Terraferma, nel quale il cineasta capitolino infonde tutto il suo amore e la sua adorazione incondizionata per la madre, qui interpretata da una Penélope Cruz magnifica, che recita in un italiano con molteplici contaminazioni spagnole; ma anche il proprio disagio nei confronti di una società - quella italiana di pieni anni ‘70 - profondamente maschilista e fallocentrica, ipocrita, perbenista, cristiana, manesca e classista. Una società che non accetta affatto, anzi sminuisce e ridicolizza il desiderio del protagonista di cambiare sesso e diventare Andrea, nonostante sia nato e ancora tutti lo riconoscano nel corpo e nell’identità di Adriana.
Ammirabile pertanto il coraggio, da parte sia di Pallaoro, sia di Crialese, di favorire un dibattito e mettere al centro di tutta la propria impalcatura filmica un tema così caldo e delicato. Eppure, la bontà discorsiva del progetto non basta, deve essere affiancata da una correttezza e simile bontà filmica. Cosa di cui, purtroppo, né il racconto di Monica, né tantomeno quello de L’immensità dispongono.
Probabilmente, la ragione di questa sommaria mediocrità realizzativa risiede, in qualche modo, nella vaghezza dei soggetti, oltre che nella loro risibile identità. Nulla infatti potrà convincerci del fatto che nessuno dei due film abbia un altro, qualsiasi altro, obiettivo, se non quello di suscitare, o meglio, forzare una reazione nello spettatore, sia essa di commozione, disgusto o gioia.
Peccato che, nel caso specifico de L’immensità, questa incessante ricerca della lacrima facile dia vita ad una costruzione drammaturgica ed emozionale blanda, inefficace, statica, ristagnante, quasi iconoclasta nei confronti dei dettami della scrittura cinematografica (l'intreccio inizia, continua e si conclude con un drammone privo di veri e propri climax); a personaggi dalle caratterizzazioni nette, salvo qualche presa di posizione benvenuta; e, ça va sans dire, ad un approccio generale al materiale troppo affezionato e “scortato” dal cuore del proprio autore. Una ricerca che potremmo pertanto definire “a basso costo” ed altrettanto minimo impegno. Ergo, undici anni spesi non proprio nel migliore dei modi.
Ciò nonostante, il peccato originale de L’immensità è più che altro la scelta di casting - certo sensata e comprensibile in termini di vendibilità del prodotto - della stessa Penélope Cruz, di cui Crialese sottovaluta l’enorme catalogo espressivo, focalizzandosi invece solo ed esclusivamente sul lato lacrimevole e tragico della sua icona e dell’immaginario a lei legato; e che, proprio perché trattandosi di un’icona del cinema internazionale, finisce inevitabilmente per divorare e “fare suo” il film, travolgendo di conseguenza ogni buon proposito discorsivo in merito al tema del gender swap e della transessualità.
Ecco quindi che il racconto scritto dallo stesso Crialese, insieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni, passa dall’essere la storia di una giovinezza stufa, repressa, precoce, avanti sui tempi, ad essere invece quella di una donna vittima di un sistema patriarcale infantile, soffocante e velenoso.
Indi per cui L’immensità di Emanuele Crialese non è soltanto una grande occasione sprecata, ma soprattutto una pellicola che pare prodotta col pilota automatico. Mai davvero insufficiente, eppure esente da quel calore, da quella joie de vivre, da quello zelo e quella positività che ci si aspetterebbe da un film su una giovinezza che si ribella all'ipocrisia e alle “fantasie degli adulti” (che fanno paura). Da una pellicola che dovrebbe inneggiare e richiamare un futuro in cui storie come quella di Andrea (e dello stesso Crialese) hanno migliorato la vita di molti.
O quantomeno, calore, fervore e quant’altro sono, sì, presenti, ma sfortunatamente non nei momenti opportuni (ossia in quelli di effettivo snodo della trama) quanto piuttosto in meri divertissement, utilizzati più come ripiego in mancanza di idee di scrittura, nei quali una Cruz mimetica ed una Luana Giuliani strepitosa e sempre credibile, sostenuti imprevedibilmente da una macchina cinematografica ridestata dal proprio torpore, reinterpretano Raffaella Carrà, Adriano Celentano, Patty Pravo e Johnny Dorelli, con tanto di bianco e nero seppiato, che fa tanto Rai d'antan. Inutile dire che saranno proprio (e solo) questi segmenti a rimanere nella memoria di chi scrive - e probabilmente anche della vostra. Non certo il massimo per una pellicola che porta un simile "peso" sulle spalle.
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