Un'altra edizione del Festival di Venezia sta per finire. Tra qualche ora, scopriremo quali sono i film che la giuria presieduta dal regista Damien Chazelle avrà ritenuto meritevoli di alcuni dei premi più ambiti del mondo del cinema, tra cui il leggendario Leone d'oro.
Commoventi storie d'amore, rivisitazioni di grande icone dell'horror, biografie di donne forti o alla ricerca di una propria strada, racconti per non dimenticare e per interrogare le nostre coscienze, esercizi di stile, distopie anti-sentimentali, bestie di varia e diversa natura: ecco la nostra personale classifica di tutte e 23 le pellicole in concorso!
Il direttore della fotografia Timm Kröger firma un racconto dall’atmosfera lynchiana, con echi nolaniani e hitchcockiani, tra relatività temporale, doppelgänger, fisica quantistica e universi paralleli. Ma la pellicola non sorprende, né funziona più di tanto, imprigionata e frenata proprio da questa sua derivazione che ne fa un film insufficiente per uno spettatore del 2023. Cinema for Dummies.
Giorgio Diritti racconta la storia di un uomo jenish alla ricerca dei figli che lo stato svizzero gli ha portato via quando è partito come militare, ed inserito nel programma di rieducazione nazionale Kinder der Landstrasse. Sintesi delle ossessioni del cineasta bolognese, Lubo è un’opera di una disarmonia inspiegabile, sbagliat(issim)a, orfano di una direzione ben precisa e di una scrittura solida alla base. Volevamo nasconderci.
La regista belga Fien Troch passa al concorso ufficiale del Festival di Venezia con un teen horror sul potere e la maledizione della felicità e dell'amore in un mondo incapace di affrontare le proprie emozioni e i propri traumi. Purtroppo un soggetto ed un'idea avvincenti non corrispondono ad un'esperienza filmica parimenti intrigante. Holly è infatti un film che si perde ben presto in una derivazione irreparabile che si esaurisce nel caos di un finale ridicolmente criptico. Hol(l)y Stringer Things.
Saverio Costanzo firma un’inquietante, ipnotica e pericolosa discesa in un mondo anestetizzato dall’apparenza, vacuo, artificioso, sfuggente, ingannevole, morboso, criminale, se non proprio mortale, impreziosito da una convincente interpretazione di Lily James. A rovinare il tutto, ci pensa però un finale prolisso, sabotato da una CGI vergognosa, inutilmente simbolico, di fatto incomprensibile. C'era una volta un budget di 30 milioni...
A poco più di un anno dall'Elvis di Baz Luhrmann, Sofia Coppola torna al Re del Rock o, meglio, alla storia della sua storica compagna in Priscilla. Malgrado qualche buona idea ed intuizione di partenza, la pellicola si arena ben presto su un'estetica fin troppo televisiva, interpretazioni non proprio brillanti e qualche risvolto innocuo di sceneggiatura e messa in scena. (Butler's) Always On My Mind.
Quasi cinque anni dopo l’anteprima veneziana di uno dei suoi migliori lavori, La favorita, Yorgos Lanthimos torna ad illuminare il grande schermo con l’adattamento libero del romanzo di Alasdair Gray. Povere creature è un film che sfoggia, ostenta la propria presunta sofisticatezza, artisticità e magniloquenza estetico-stilistica per ipnotizzare, abbagliare chi guarda e far passare in secondo piano la pochezza di ispirazione e la mediocrità dei suoi sviluppi. Yorgos Lanthimos è il nuovo Wes Anderson?
Pierfrancesco Favino è il Comandante di sommergibile Salvatore Todaro nel nuovo film di Edoardo De Angelis, una pellicola che prende il via da alcune intuizioni felici, ma che finisce per essere fin troppo concentrata su ciò che il divo ha da offrire e troppo poco su ciò che lei per prima dovrebbe prevedere, approfondire, argomentare. L'Oppenheimer da noantri.
Forse intimorito dalla magra accoglienza dell’ultimo Sundown, Michel Franco torna dietro la macchina da presa con una storia accessibile a tutti e morigerata, che il regista si accontenta di seguire banalmente nel suo farsi. Con una buona Jessica Chastain ed un magnetico Peter Sarsgaard. Amnesia di una filmografia.
Racconta due transizioni Woman Of..., l’esordio alla regia di Małgorzata Szumowska co-diretto con Michał Englert. Quella della Polonia dal comunismo al capitalismo, e quella di Aniela Wesoły, nata Andrzej. Nel trattare l'attualissimo tema della disforia di genere, il duo di registi polacchi è bravo nella direzione di una meravigliosa ed ipnotica Małgorzata Hajewska-Krzysztofik. In The Name Of...
Mads Mikkelsen interpreta un veterano di guerra di umili origini nella Danimarca del XVIII secolo, che tenta l’impresa (a detta di tutti) impossibile di coltivare un pezzo di brughiera. In questo suo sforzo, si scontrerà con le mire e i capricci di un signorotto locale, che gli scatenerà addosso il caos. Pur apparendo come un pastiche interessante tra period drama e western, Bastarden di Nikolaj Arcel è (solo!) cinema puramente intrattenitivo che sacrifica ciononostante il piacere e il mestiere della narrazione sull’altare di un arido e sbiadito rilancio autoriale. Un fatto di patate.
Dopo A Star is Born, Bradley Cooper torna a cimentarsi dietro la macchina da presa con un film che affronta la figura, il genio e il matrimonio del compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein. Purtroppo, Maestro si rivela una pellicola alla quale manca un nucleo, un cuore discorsivo ed estetico, un baricentro. Una che evita totalmente le responsabilità di anche solo un barlume di visione, celandosi e celando la sua risibile ed autentica ambizione, e la propria innocuità dietro il proverbiale dito di una citazione dello stesso compositore. Maestra.
Partendo dalla stimolante ed importante storia dell'autrice afroamericana premio Pulitzer e della lavorazione di uno dei suoi lavori più noti, la regista candidata all'Oscar Ava DuVernay costruisce un ibrido di linguaggi che intreccia la fiction del racconto più intimo e familiare della scrittrice, con pratiche documentaristiche e da video-essay. Il documentario funziona, il dramma molto meno, ma la pellicola è già tra i front-runner della prossima stagione dei premi. Un documentario mancato.
Caleb Landry Jones è sensazionale come vigilante canaro, reietto e uno pseudo-Joker in DogMan di Luc Besson. Il regista francese torna in forma smagliante con un film dignitosamente modesto, puramente intrattenitivo, che riesce, malgrado le numerose assonanze, a mantenere una propria cifra ed un suo perché. Il Joker per chi detesta i gatti.
Dopo il promettente esordio con I predatori, Pietro Castellitto firma un'altra disamina idealmente beffarda, pungente, cruda, un’altra analisi dal piglio comico-satirico della giungla umana medio-borghese, del tessuto sociale, culturale e politico dell’Italia di oggi. La pellicola finisce però ben presto preda delle sue ambizioni e si rivela meno efficace, crudele, pungente di quella che l'ha preceduta. Ciò nonostante, va dato credito a Castellitto di essere forse tra i pochi, nuovi registi italiani a sapere realmente utilizzare le immagini per esprimere e sintetizzare efficacemente concetti ed idee idealmente complesse. The Castellittos.
Il regista della celebre trilogia del lavoro con Vincent Lindon, Stéphane Brizé abbandona il terreno del dramma socio-realista per scoprire quello del dramedy sentimentale. Guillaume Canet e Alba Rohrwacher sono i protagonisti di un film che smaschera i comfort che, in alcuni frangenti della nostra vita, ci bloccano ed imprigionano. Quel che colpisce però di più di Hors-saison è che, tra le pieghe di questa costruzione sobria, essenziale, polita, apparentemente impossibile da spiegare in altre maniere, nasconde una comicità muta imprevista e brillante, perfettamente retta da Canet. L'agrodolce biglietto d'addio di Venezia 80.
Dopo il vorticoso Ema e la trasferta angloamericana con Spencer e La storia di Lisey, Pablo Larraín torna al suo amato Cile e alla sua riflessione sulla memoria del popolo cileno e su uno dei periodi più bui della propria storia: la dittatura. Protagonista di El Conde è infatti un Augusto Pinochet in versione Dracula, in cerca di sangue nuovo e fresco per continuare a vivere e ritrovare la propria eterna giovinezza. Ciò che si nasconde sotto la superficie di un simile soggetto è però un'opera forse più complessa, sofisticata ed imprevista di quanto ci si aspetterebbe. Pinochet Cinematic Universe.
Raccontata la storia dietro (il) Quarto potere in Mank, David Fincher torna al suo abituale terreno di cinema con The Killer. Un racconto dalla forte componente astratta, quasi teorico, testamentario, sintetico sullo spettacolo sopito del metodo. Del mestiere nel senso più elegante, sontuoso è positivo del termine. The Smiths
La regista polacca Agnieszka Holland dirige un film acre e toccante, fotografato interamente in bianco e nero, sulla crisi di immigrazione che ha coinvolto Bielorussia e Polonia durata dal 2015 fino a tempi più recenti. Praticamente un instant movie che, malgrado qualche eccesso di simbolismo e didascalismo, sa coniugare il cinema politico militante capace di scuotere le coscienze (in questo caso, occidentali) e la migliore tradizione drammatica. Il ping-pong dei migranti.
Stefano Sollima torna nella sua Roma, in quella Roma a cui il suo cinema deve moltissimo, con la definitiva prova di maturità della sua atipica carriera. Pierfrancesco Favino, Toni Servillo e Valerio Mastandrea sono i tre sublimi rappresentanti di un mondo al capolinea, ingaggiato in un'ultima corsa per la poesia di un amore sopito e la prosa di una redenzione tutt’altro che eroica e nobile. Per uno slow-burner in piena regola, elegante, ipnotico, da percorrere e scoprire tutto d’un fiato, dotato di una sceneggiatura rigorosa, asciutta e solidissima che sembra l’opera di un vecchio maestro del cinema. Tutto il resto è noia.
A quattro anni da Pinocchio, Matteo Garrone torna dietro la macchina da presa con Io capitano, una pellicola che racconta una storia già lambita dallo stesso regista, solo da un punto di vista totalmente nuovo: quello di due giovani ragazzi senegalesi che dovranno affrontare le insidie del deserto africano e del Mediterraneo per arrivare in Europa. Una pellicola ambiziosa che sa come pareggiare e mettere in equilibrio l’urgenza fragorosamente umana del proprio messaggio, con una sua verità filmica ed un suo approccio ben definito, impreziosita da interpretazioni formidabili. Un finale da grande maestro.
Liberamente ispirato al racconto La bestia nella giungla di Henry James, Bertrand Bonello racconta una storia d’amore attraverso il tempo, ostacolata dalle naturali conseguenze del mondo e, con sé, dell’artificio cinematografico. Un film profondamente teorico che non rinuncia tuttavia agli strumenti del mestiere del racconto, con due magnifiche interpretazioni di Léa Seydoux e George MacKay. Una delle migliori lettere di (dis)amore per il cinema.
Adam Driver è il magnate dell'automobile italiano Enzo Ferrari nel biopic di Michael Mann, che è destinato a diventare un testo definitivo di quella “passione letale”, quella “gioia terribile” e quell’ossessione irrefutabile che, per Enzo Ferrari, sono le corse e la velocità, e che, per il regista, è il suo viaggio cinematografico. Che è “bello agli occhi perché funziona”. Perché è solidissimo, millimetrico, chirurgico. Perché semplicemente stimola i principi basilari e rudimentali del mezzo e deve molto, come avviene nell'ideazione e costruzione di un'automobile, al lavoro di squadra quanto più sinergico, compatto ed ispirato. L’ultimo, grandissimo lavoro di un ingegnere del cinema.
Dopo aver dominato la stagione dei premi con il magnifico Drive My Car, il nuovo maestro giapponese Ryūsuke Hamaguchi firma un’altra gemma di grandissimo cinema. Il male non esiste è un film (sull’incontro/scontro tra due mondi, uno rurale ed uno urbano) che, al suo interno, ne cela sapientemente un altro, più sinistro, intimo, recondito. Il mistero di Takumi.
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