TITOLO ORIGINALE: Amanda
USCITA ITALIA: 13 ottobre 2022
REGIA: Carolina Cavalli
SCENEGGIATURA: Carolina Cavalli
GENERE: commedia, drammatico
Presentato nella sezione Orizzonti Extra della 79ª edizione del Festival del Cinema di Venezia
La sceneggiatrice Carolina Cavalli fa il suo esordio alla regia cinematografica con Amanda, la storia di un adolescente fuori tempo massimo; di una venticinquenne ribelle, sfrontata, nervosa, impulsiva, spietata, diretta, apatica, squilibrata che si convince di essere la miglior amica di una sua vecchia conoscenza e fa di tutto per riconquistarla. Una situation comedy tutta votata ad osservare le reazioni, le risposte, i gesti, le smorfie, gli atteggiamenti della venticinquenne alle più disparate dinamiche, che purtroppo esaurisce la propria forza propulsiva, la propria verve e, di conseguenza, il proprio ascendente affabulatorio già a quindici minuti dall'inizio. Un film sorretto solo (e nei limiti) da una Benedetta Porcaroli a suo agio con il tono stralunato del racconto, che ciononostante non riesce a conciliare la pochezza disarmante di una sceneggiatura snervante e statica.
Inizia rifacendo Wes Anderson, Amanda, l’esordio alla regia della sceneggiatrice Carolina Cavalli. Voce narrante, colori pastello, primi piani dal gusto fumettistico, tipo bande dessinée, di volti smarriti e "forti", ma anche una simmetria, geometrizzazione e fissità insistite del piano, un’atmosfera sospesa, alienata e bizzarra, un approccio amoroso che ricorda proprio l'andersoniano Moonrise Kingdom, o ancora di un’ambientazione parigina da cartolina. Ed è un problema.
Sì, è un problema se, per inaugurare e nobilitare il proprio debutto - e dunque imporre la propria voce in un panorama (quello italiano) ormai saturo di registi - si ha bisogno di prendere in prestito la voce, lo sguardo, le ossessioni, così come la coolness cinephile ed hipster di altri. Ed è ancor più un problema se poi, finito quel primissimo segmento, il proprio film prende una strada completamente diversa, mantenendo, del cinema di Wes Anderson, soltanto quell’atmosfera alienata, bizzarra, eccentrica, sospesa, ed una caratterizzazione visivo-estetica macchiettistica della protagonista, che richiama, ancora una volta, il fumetto.
È una sagoma, Amanda, una caricatura, un’esagerazione, una destrutturazione del periodo adolescenziale e disinnesco delle vie che grande e piccolo schermo hanno tentato e percorso, negli anni, per raccontarlo. Un’adolescente fuori tempo massimo, si può dire; una venticinquenne che, da quando è venuta al mondo, soffre un contesto familiare alto-borghese uggioso, soffocante, vuoto, anaffettivo, arido, solitario, nevrotico, imperturbabile; e che pertanto pare aver votato le sue giornate a rovesciarne le convenzioni, a polverizzarne le certezze, a portare “l’inganno e il fascino della borghesia” al punto di massima tensione e alla sua successiva deflagrazione.
Non ha altri obiettivi al di fuori di questo, Amanda, ribelle, sfrontata, nervosa, ipertesa (forse anche per il quantitativo di Red Bull che si scola ogni giorno), impulsiva, spietata, diretta, apatica, squilibrata. Almeno fino a quando non (ri)vede Rebecca, ragazza anch’essa presumibilmente vittima dell’instabilità della madre, una hikikomori de noantri; che il nostro “petardo sociale” ricorda presto essere la sua migliore amica d’infanzia.
Ebbene, da questo momento, solo perché lei l’ha deciso (e lei ha sempre ragione), tutto, nella vita (vuota, senza vere prospettive) della ragazza, è votato a riconquistare la fiducia e poi l’amicizia della coetanea. Magari vincendo un ventilatore con 100 punti del supermercato, portandola alla festa di un ragazzo di cui Amanda si è follemente (ed atipicamente) innamorata, regalandole un ronzino, imponendole la propria visione delle cose…
Prende così il via una situation comedy tutta votata ad osservare - tra camminate risolute, “vaffanculo” come se piovesse e tic di irrequietezza - le reazioni, le risposte, i gesti, le smorfie, gli atteggiamenti della venticinquenne alle più disparate dinamiche. Rappresentante estremizzata e buffa di una generazione iperconnessa, eppure mai tanto distaccata, insensibile, anaffettiva (e chi saranno mai i responsabili?), è proprio lei l’unico, vero punto di luce dell’operazione: l’Amanda meravigliosamente interpretata (seppur nei limiti) da Benedetta Porcaroli, quest’ultima sorprendentemente a suo agio con il tono insolito e stravagante del testo di Cavalli.
Lo è soprattutto nello scoprire invece la monotonia, la ripetitività, l'invariabilità e, alla lunga, l'insostenibilità che governa e caratterizza tutto il resto dello stralunato mondo di Amanda. Dal montaggio alla colonna sonora, dai costumi alla fotografia, ogni singola variabile o nota teoricamente peculiare della pellicola si mostra ben presto in tutta la sua trivialità ed inevitabile banalizzazione, a fronte di un copione (scritto dalla stessa Cavalli) privo di idee realmente convincenti, di cui vediamo l’orizzonte a soli quindici minuti dall’inizio, che sviluppa il proprio soggetto in maniera compilativa, dando forma, sequenza dopo sequenza, ad uno, se non proprio al perfetto stereotipo del film hipster tutti abiti vintage, colori pastello, anarchia in miniatura e melodie synth-pop riciclate.
Dunque, nel momento in cui la vicenda (destrutturante) di Amanda dovrebbe entrare nel vivo e farsi davvero interessante, il film ha già giocato tutte le carte a propria disposizione; ha già esaurito la propria forza propulsiva, la propria verve e, di conseguenza, il proprio ascendente affabulatorio, e anche gli spettatori più volenterosi troveranno difficile, oltre che irritante, trascinarsi fino alla fatidica conclusione di questo girovagare a vuoto.
Una conclusione che non solo vorrebbe dar luogo ad una catarsi, subendo tuttavia lo scacco dell’apatia generalizzata e del poco approfondimento del microverso ritratto e descritto da Carolina Cavalli, ma che soprattutto arriva, in maniera del tutto fortuita ed avventata, dopo novanta minuti di assoluta staticità, di ripetizione ossessiva delle medesime formule e della stessa manciata di situazioni - a loro volta private del loro valore comico nonsense -, e di onnipresenza indomita di quell’atmosfera sospesa e bizzarra e di una protagonista senz’altro vitale per garantire e mantenere una faticosa intesa e coesione tra lo spettatore e il racconto, eppure così intensa, ingente, insopprimibile, dispotica, iconica, esasperata ed esasperante da cannibalizzare un eventuale contraddittorio e calpestare tutto quello con cui viene a contatto sotto i suoi stivali.
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