TITOLO ORIGINALE: Athena
REGIA: Romain Gavras
SCENEGGIATURA: Romain Gavras, Ladj Ly, Elias Belkeddar
GENERE: drammatico, poliziesco, thriller
In concorso alla 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Continuazione spirituale di Les Misérables di Ladj Ly, Athena del figlio d’arte e celebre videoclipper Romain Gavras è una tragedia greca che abbraccia moltissimi generi e territori narrativi: dal thriller-drama di impegno sociale e politico, passando per l’action frenetico e virtuoso, fino ad arrivare ad un war movie che unisce la classicità dei combattimenti alla contemporaneità del contesto e delle ragioni. Un colpo di fulmine non privo di difetti, eppure possibile e perfetto luogo di consacrazione per una nuova personalità incendiaria del cinema internazionale.
Come lascia presagire il titolo, Athena di Romain Gavras è una tragedia greca. O meglio, è tale perché ripropone lo stesso pathos, la stessa costruzione climatica, le proporzioni e gli orizzonti, la stessa drammaticità degli eventi, ma anche, fin dalle sue premesse narrative, quella concezione di ciclicità dei soggetti, delle trame, dei motivi, delle conclusioni. Questo perché il conflitto, la rivendicazione, la guerra che avviene in un banlieue parigino, che prende il nome proprio dalla dea greca Atena - non a caso divinità della sapienza e delle arti della guerra -, come sempre è stato e sempre sarà, fin dai tempi della guerra di Troia, ha origine da una manipolazione, una bugia originale.
Nel caso di Athena, l’infiammante menzogna riguarda il mortale pestaggio di un ragazzino di origine algerina minorenne, di nome Idir. Nessuno infatti conosce il nome e il volto dei veri colpevoli, che si pensa facciano parte della polizia. Questo fa, in qualche modo, traboccare un proverbiale vaso che è anni che si sta riempiendo, tra tensioni, discriminazioni, violenze, privazioni, oppressioni, razzismo. Un vaso fatto di odio e di una rabbia cieca, un desiderio di rivincita ed una potenza distruttiva che si spande, quasi fosse un’epidemia incontrollabile, tra gli abitanti di questo sobborgo, che diventa ben presto una rappresentazione in miniatura di un vero e proprio inferno dantesco.
A guidare la rivolta, Karim, fratello maggiore e terzo di quattro, che si improvvisa quasi leader militare, adottando tattiche e strategie tipiche dei campi di battaglia internazionali. Sarà forse dovuto al fatto che il fratello Abdel è un militare appena tornato dal Medio Oriente e che, una volta scoppiata la sommossa, tenterà di dissuadere Karim dal moltiplicare la violenza e di impedire che le cose precipitino e ci scappi il morto. I tumulti rovinano invece i piani a Moktar, il primogenito, spacciatore che conduce affari proprio ad Athena e che, proprio mentre la situazione degenera, si ritrova in mano una grossa partita di cocaina.
È tante cose, questo terzo lungometraggio di Romain Gavras - figlio (d’arte) del più noto cineasta greco Costa Gavras -, nel quale egli fa ritorno a quelle banlieue che ha raccontato così bene nei suoi brutali e provocatori videoclip (che sono poi la sua principale vocazione). Innanzitutto, come forse avrete già intuito, Athena è una deformazione più spettacolare del cinema paterno; un thriller-drama sociale e politico che discende direttamente dal celebre L’odio di Mathieu Kassovitz ed indaga le ragioni, i pensieri, le sensazioni, i timori e i risentimenti di entrambe le fazioni, mettendo di fronte all’obiettivo, al centro di tutto, la dura realtà di una Francia che, oltre due secoli dopo la Rivoluzione del 1789, è ancora un’arena pervasa dalla violenza, una terra in cui i valori costitutivi di libertà, uguaglianza e fraternità vengono stracciati ed applicati per convenienza, perbenismo e facciata. Non a caso, potremmo considerare Athena quale continuazione spirituale, esplosiva, più assordante, lancinante, diretta, incontenibile, di Les Misérables di Ladj Ly, quasi l’eco del suo grido rabbioso. Diciamo non a caso, perché è proprio Ladj Ly a co-firmare la sceneggiatura e la produzione del film.
Non solo, la consapevolezza, il dinamismo, la frenesia, il ritmo tagliente e adrenalinico, la grande attenzione al secondo piano, l’estrema chiarezza espositiva e rappresentativa - tutti aspetti, questi ultimi, che, da un lato, richiamano la “gavetta” e l’eccelso lavoro di Gavras nel videoclipping e, dall’altro, avvicinano la pellicola ad una sorta di performance art che ha il compito principale di eccitare e shockare - fanno di Athena un film d’azione estremamente sensazionale, capace di intercettare e di infondere alle immagini l’energia di un momento e di un mondo marginalizzato, discriminato, represso, e che, per perizia e precisione, può facilmente competere con i migliori esemplari provenienti da oltreoceano.
Principale merito di piani sequenza virtuosistici ed immersivi, di estrazione quasi videoludica, Athena trascina fin da subito lo spettatore in ciò che rappresenta e mette in scena, rendendolo complice e testimone di qualcosa che il cineasta riesce a rendere con estrema realtà (eccezion fatta per il fin troppo macchiettistico Sébastien) e crudezza, con un trasporto sincero ed un sentimento evidente, mantenendo sempre alti livelli di pathos e tensione (grazie anche alla colonna sonora greve ed incalzante del progetto Gener8ion, di cui Gavras ha firmato i video), senza mai scadere in pomposità ridicole o scelte pretestuose.
Quantomeno nella prima metà - ossia quella di costruzione (eccelsa) della distruzione - il movimento e l’azione, questi ultimi aspetti fondanti, eccellenti, primari del mezzo cinematografico; sono così centrali in Athena ché tutto passa attraverso le sue maglie, la sua costruzione millimetrica e ragionata, il suo uso funzionale e fluidissimo degli spazi: dalla caratterizzazione dei personaggi ai loro pensieri, gerarchie e dinamiche relazionali, fino ad arrivare al contesto sociale ed esistenziale e alle storie private dei diversi protagonisti.
Unitamente a ciò, proprio perché, fin dai primi mo(vi)menti, la rivolta si converte in vera e propria guerriglia urbana, il film di Gavras assume ben presto le caratteristiche di un war movie, che unisce la classicità delle tattiche offensive (il lancio di oggetti dall’alto) e difensive (la testuggine) alla contemporaneità e contingenza del conflitto e delle sue ragioni, mettendo uno contro l’altro due schieramenti ben definiti. Da un lato, un collettivo di bambini cresciuti troppo in fretta e in un ambiente che li ha sostanzialmente preparati a quello che ora stanno mettendo in piedi, ma che, nonostante tutto e tutti, devono comunque rispondere alle chiamate della mamma in pensiero.
Dall’altro, incrociamo invece il punto di vista di un poliziotto che sembra agire quasi per sentirsi partecipe di qualcosa, di una massa informe e spersonalizzata, dello stesso gruppo sociale e militare che, giusto qualche ora prima, nelle veci di un suo collega, gli ha consigliato di celare qualsiasi traccia di sé e della propria vita privata, della propria fragilità, e di adeguarsi allo stereotipo machista, spietato ed anonimo che gli compete.
Dal canto suo, la macchina da presa e, con essa, la visione di Gavras raggiunge le sue massime vette spettacolari, emotive e tensive in tutti quei momenti in cui è chiamata ad orchestrare la massa, indistinta, talora caotica, disordinata e scomposta, eppure animata da un pensiero solo: la sopravvivenza. Athena diventa perciò nientemeno che una riproposizione aggiornata allo zeitgeist contemporaneo, tuttavia immutata nell’intensità espressiva, nello scrupolo compositivo e nell’attenzione per il corpo umano e sociale, de La zattera della Medusa del pittore romantico Théodore Géricault. Quadro in cui, come forse già saprete, l’autore rappresenta il naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell'attuale Mauritania, a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte del comandante Hugues Duroy de Chaumareys. Naufragio che si macchierà poi di brutalità inenarrabili, tra cui il cannibalismo.
Ed è forse questa, oggi, la migliore rappresentazione della Francia, perlomeno secondo Gavras: un paese diretto verso un lento ed inevitabile declino, per colpa di dirigenti troppo impegnati a mostrarsi e a declamare i propri programmi elettorali in televisione, che a prendere provvedimenti assennati e lucidi, attraversato da un odio strisciante e cannibalizzante. Un odio estremista, ignoto ed anonimo da un lato, ed uno, invece, estremizzato, esacerbato dal tradimento degli ideali e dei fondamenti della società civile.
Tutto questo, in un vero e proprio colpo di fulmine forse passibile di ridondanza stilistica, di schematicità strutturale, di una seconda metà (di discesa negli inferi) che non sempre mantiene le promesse fatte dalla prima, ma ciononostante notevole, percorso da un sentimento lancinante, perfettamente inserito nella contemporaneità, se non addirittura avveniristico. Un perfetto luogo di consacrazione per una nuova personalità incendiaria del cinema internazionale.
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