TITOLO ORIGINALE: Dog
USCITA ITALIA: 12 maggio 2022
USCITA USA: 18 febbraio 2022
REGIA: Channing Tatum, Reid Carolin
SCENEGGIATURA: Reid Carolin
GENERE: commedia, drammatico
L'attore Channing Tatum fa il suo esordio dietro la macchina da presa con Io e Lulù, un dramedy a tema canino e di indole cinofila che consolida ulteriormente lo stereotipo e il marchio di ragazzone macho e oggetto sexy, ciononostante tenero, sensibile e profondo, che lo ha spesso afflitto e limitato, in termini recitativi. La pellicola tenta di districarsi nella sua duplice natura di dramma pseudo-polemico a sfondo sociale, militare, umano e animalista, e road movie con tutti i crismi di sorta, ma, piuttosto che offrire un racconto leggero, fresco e amorevole - malgrado la gravità e spigolosità di alcune tematiche -, finisce per uniformare, banalizzare e asportare totalmente il cuore, l’ascendente e la spontanea amabilità di premesse in sé abbastanza sempliciotte.
The Lost City ci aveva fatto ben sperare. La riflessione sul concetto, l’archetipo e la rappresentazione odierna dell’eroismo, il rovesciamento delle parti, il contrasto tra la fisicità e carica virile di un attore come Channing Tatum e il personaggio impacciato, delicato, dai tratti quasi femminei, che è chiamato ad interpretare, ci avevano indotto a pensare che l’icona di Magic Mike avesse finalmente preso più consapevolezza in merito alla propria carriera (mai scoppiata del tutto) di sex symbol per eccellenza e alla propria immagine divistica, e avesse così varcato la soglia di una nuova fase della propria corsa professionale e artistica.
Un percorso di maturazione e rifinitura che ben si sarebbe accordato con un primo approccio alla regia com’è Io e Lulù - che l’attore firma insieme allo sceneggiatore Reid Carolin -, se solo non fosse che, più che confermare il lento ispessimento e l’elaborazione che questo volto, così pulito e definito, tuttavia così modellabile, sta attraversando già da una decina d’anni, ciò in cui riesce meglio questo esordio di Tatum alla regia è, viceversa, consolidare ulteriormente lo stereotipo e il marchio di ragazzone macho e oggetto sexy che nasconde però un lato tenero, sensibile e profondo, che, da anni, quest’ultimo tenta invano di scrollarsi di dosso.
Difatti, quello di Jackson Briggs, il veterano afflitto da stress post-traumatico che interpreta - al quale viene chiesto, dopo la morte di un amico e commilitone, di portare il cane da guerra di quest’ultimo alle esequie militari che si celebreranno dall’altra parte degli States -, è un personaggio fatto su misura del Tatum dei due G. I. Joe o anche solo di White House Down. Un giovane aitante e nerboruto che sprizza testosterone da tutti i pori, a cui però il soggetto del già citato Carolin e di Brett Rodriguez accorpa pure il profilo dolente, fragile, patetico e problematico del reduce che fatica a reintegrarsi in un paese che non lo gratifica e riconosce come dovrebbe, ma che, al contrario, ne motteggia le scelte, disdegna i sacrifici e schernisce quell’idea di virilità - ormai riconosciuta come tossica e retriva - che lui, in quanto soldato, inevitabilmente incarna.
Nel Channing Tatum di Io e Lulù convivono dunque l’uomo d’azione che non si tira indietro di fronte al pericolo di uno sconosciuto che lo lega ad una sedia e lo minaccia di morte (in una sequenza che sembra fuoriuscita da un horror della Blumhouse), ma anche quello sensibile e poetico, che ama stare ore e ore sdraiato sul cofano del proprio pick-up a guardare l’orizzonte, con una birra in mano e le note di una canzone di Kenny Rogers in sottofondo.
Ed è appunto in questa contrapposizione tra la drammaticità data dalla precarietà di vita di ragazzi (e cani) mandati a morire, costretti a compiere azioni atroci, poi abbandonati a sé stessi e alle proprie cicatrici, una volta tornati a casa, e la comicità delle (poche e tutt’altro che brillanti) situazioni che si vengono a creare tra un uomo e un pastore belga che condividono più di ciò che si potrebbe immaginare, durante un viaggio immerso tra i deserti dell’Arizona e le foreste dell’Oregon; insomma, è in questa sua duplice natura di dramma pseudo-polemico a sfondo sociale, umano e animalista, e road movie con tutti i crismi di sorta, immaginato quale collage di segmenti autarchici ed incontri narrativamente impermeabili, ché Io e Lulù tenta di districarsi, al fine di offrire un racconto leggero, fresco e amorevole, malgrado la gravità e spigolosità di alcune tematiche.
Peccato soltanto che la sceneggiatura prima e la regia poi: la prima, approssimativa, drammaturgicamente discrepante, del tutto disinteressata ai discorsi di cui si incarica, ridotta ad una manciata di frasette moraleggianti e retoriche; la seconda, monotona, ritmicamente inconsistente, impedita nell’azzeccare i tempi comici, anzi decisamente più interessata, e perciò egocentrica e narcisistica, a rendere Tatum sempre piacente, affascinante, seducente, pure quando trema per il freddo, soffre di crisi durante la notte, o è ricoperto di fango e sporcizia dalla testa ai piedi; finiscano per uniformare, banalizzare e asportare totalmente il cuore, la personalità, l’ascendente e, con essi, la spontanea amabilità e sincera godibilità di un racconto di per sé proverbiale e sempliciotto.
Un vero spreco, specie considerati gli effettivi guizzi che è possibile intravedere durante i primi trenta minuti, che, se approfonditi a dovere e trattati con meno sufficienza, avrebbero potuto fare di Io e Lulù quasi un Rambo per famiglie e in salsa canina, un racconto sovversivo, critico ed intelligente nella misura in cui avrebbe potuto porsi in contrapposizione rispetto a tutte quelle le spinte progressiste che, ad Hollywood, sono oggi sistematiche ed incontrovertibili. Forse l’unico Rambo davvero possibile, ora come ora.
Quantomeno ci saremmo risparmiati un film che tenta di sopperire alle mancanze di una sceneggiatura svogliata e di circostanza, con una colonna sonora spropositatamente gonfiata (ad opera di Thomas Newman, sigh!), qualche tenero primo piano sugli occhioni di Lulù ed un (in)sano voyeurismo.
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