TITOLO ORIGINALE: Comedians
USCITA ITALIA: 10 giugno 2021
REGIA: Gabriele Salvatores
SCENEGGIATURA: Gabriele Salvatores
GENERE: drammatico
Sei aspiranti comici in cerca di successo, allievi del corso di stand-up comedy tenuto dall'ex-comico Eddie Barni, tentano di tutto per fare colpo su Bernardo Celli, famosissimo comico televisivo e ancora più famoso talent scout, e ottenere così un prestigioso contratto televisivo.
Il diciannovesimo lungometraggio di Gabriele Salvatores è, per lui, sia un ritorno al passato e alle sue origini artistiche, sia una scommessa sul presente (che si spera possa avere un effetto positivo sul futuro). Terzo adattamento del cineasta dell'omonima pièce teatrale del britannico Trevor Griffiths, Comedians è un dramma acre e greve travestito da commedia che vorrebbe attualizzare ed italianizzare il testo originale, ma che - complici una messa in scena inanimata ed infruttuosa, nonché eccessivamente teatrale, ed una sceneggiatura fin troppo pedissequa e priva di un'idea forte (a differenza di Kamikazen dello stesso Salvatores, anch'esso trasposizione di Griffiths) - non riesce a scontrarsi e a vincere l'effetto corrosivo del tempo e a dimostrarsi, di conseguenza, contingente e moderno in un’Italia comicamente opposta a quella qui presentataci. E’ allora in assenza di un intreccio forte ed argomentativamente valido che il regista ripone tutta la propria fiducia su interpretazioni più o meno convincenti, che tuttavia non riescono a sopperire lo stuolo di handicap appena elencati.
“La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla”
Uno dei passi più famosi del Macbeth di William Shakespeare campeggia sulla lavagna di un’aula come tante altre che, tuttavia, di sera ospita il corso di stand-up comedy tenuto dall’ex-comico, ora caduto in disgrazia, Eddie Barni (Natalino Balasso) ed indirizzato ad aspiranti (e forse futuri) mattatori del palcoscenico, in cerca dell’opportunità per sfondare e avere successo. Prima di proseguire oltre, è bene specificare come le lezioni di Barni non siano solo una semplice e funzionale didattica ed introduzione all’arte della risata, quanto piuttosto una vera e propria riflessione sul potere, il ruolo, la filosofia e dunque l’importanza della comicità in relazione con la realtà, il presente e il mondo che ci circonda.
Settimane di tali insegnamenti sembrano tuttavia svanire in un nonnulla quando, durante le fasi finali di preparazione di uno spettacolo (a coronamento di quanto appreso) presso uno dei club più in voga della città, i sei allievi di Barni vengono a sapere che, tra il pubblico, vi sarà Bernardo Celli (Christian De Sica), famoso comico televisivo e ancor più famoso talent scout. Per Filippo e Leo Marri (Ale e Franz), Samuele Verona (Marco Bonadei), Gio Di Meo (Walter Leonardi), Michele Cacace (Vincenzo Zampa) e il giovanissimo Giulio Zappa (Giulio Pranno), i sei aspiranti comici, inizierà così un silenzioso gioco al massacro, fatto di tensione e diffidenza, che diventerà ben presto esternazione di un disagio comune e totalizzante.
E’ questo l’incipit da cui prende il via Comedians, diciannovesimo lungometraggio di Gabriele Salvatores, quasi un progetto di ripiego, nato perché “la pandemia ha bloccato la lavorazione de Il ritorno di Casanova [...] Però, da buon padre di famiglia, mi dispiaceva lasciare a casa tante persone e volevo trovare un progetto fattibile” [Salvatores ai microfoni di FilmTV]; e terzo incontro del regista con l’omonima pièce teatrale del britannico Trevor Griffiths.
Il “primo amore” ed adattamento dell’opera risale infatti al 1985 e al lungo periodo di apprendistato del cineasta al Teatro dell’Elfo di Milano, L’incontro seguente avviene due anni più tardi e ci (ri)porta sul grande schermo. Più precisamente, al suo secondo lavoro da regista cinematografico, Kamikazen - Ultima notte a Milano, melò che prende spunto dal testo di Griffiths per poi puntare - forte di un cast stellare (Paolo Rossi, Claudio Bisio, Flavio Bonacci, Silvio Orlando) e di un’idea salda e precisa - su ben altri lidi.
Eppure, per Salvatores, Comedians non è soltanto un viaggio indietro nel tempo e un ritorno alle origini (teatrali e cinematografiche), ma anche e soprattutto una scommessa sul presente che, previa una rispettosa attualizzazione ed italianizzazione della pièce originale, si spera possa avere un effetto positivo sul futuro.
Ciò a cui il cineasta dà vita è dunque un calderone dialettico, chiasmatico e verbale (per non dire verboso) di punti di vista e di vita, di caratteri e caratterizzazioni, di massime e minimalismi che si lascia guidare da un cast composto da grandi nomi del settore, giovani scoperte e volti da riscoprire, per interrogare lo spettatore ed indurre una riflessione su cosa sia la comicità, quale sia il suo ruolo (sempre che un ruolo ce l’abbia ancora) nel e per il mondo e la sua relazione con il pubblico e se ci sia veramente un futuro per tutti quei comici che forse non sapranno vendersi, ma che desiderano ancora scuotere e stravolgere il sistema dalle fondamenta.
Purtroppo, questa riflessione, che è poi la pietra fondante su cui si erige e si erge l’intero progetto Comedians, non è figlia di una visione egualmente forte come quella di Kamikazen e deve perciò scontrarsi fin da subito con uno stuolo di storture, per non dire paralisi, per non dire handicap che, seppur intrinseche del lavoro di sceneggiatura e messa in scena, riescono a farsi largo e a minare irreversibilmente tanto la solidità del prodotto in sé, quanto l’efficacia e l’incisività di tutte quelle illazioni e argomentazioni sopra citate, che appaiono quindi stantie, svuotate, smesse, talora quasi contorte e vaghe.
I riferimenti cinematografici (e, di conseguenza, ciò che, secondo Salvatores dovrebbe essere Comedians) sono tutti lì, alla luce del sole. Venere in pelliccia e Carnage di Roman Polanski sono solo alcuni dei titoli - a cui ci sentiremmo di aggiungere anche qualche deriva ed esponente della tradizione recente del Kammerspiel - da cui il cineasta sembra prendere ispirazione per costruire questo melodramma di “sei comici in cerca di contratto”. Tuttavia, ciò che salta all’occhio fin dai primi baluginii della pellicola è la profonda teatralità che questi pare aver estrapolato dal testo originale (e probabilmente dallo stesso adattamento che confezionò in quel lontano 1985) e proporzionalmente infuso tanto nella pedissequa sceneggiatura [“Ho adattato - spiega Salvatores sempre ai microfoni di FilmTV - il testo originale soltanto nelle parti strettamente comiche. Tutto il resto è fedelissimo a Griffiths, quasi parola per parola”], quanto nella messa in scena.
Infatti, fatta eccezione per qualche minima “evasione” nelle prime sequenze e in quella delle performance del sestetto (forse una delle più riuscite), la pellicola - così come l’opera griffithsiana - si ambienta solo ed esclusivamente nell’aula del corso di stand-up comedy, che diventa quindi un palcoscenico a tutti gli effetti, con tanto di quinte, di uscite di scena e di sporadiche invasioni dall’esterno (la bidella, l’indiano Patel, lo stesso Celli).
Tuttavia (e forse anche purtroppo), dal teatro, Comedians non adotta soltanto la morfologia della scena e della scenografia [elementi, questi ultimi, che magari si sarebbero potuti reinterpretare e turbare, alla stregua di quanto compiuto da Florian Zeller e dallo scenografo Peter Francis nel recente The Father], bensì ne introietta e porta alle estreme conseguenze le coordinate intrinseche e caratterizzanti, tra cui una regia rigida e quasi del tutto invisibile, la totale assenza di un commento musicale e/o sonoro (all’infuori della musica ad aprire e chiudere e qualche effetto ambientale) ed una recitazione enfatica ed ampollosa, che non occulta mai mezzi e procedimenti, più concentrata sul “come” e non sul “cosa” o sul “perché".
Pertanto, a risollevare le speranze di una messa in scena inanimata ed infruttuosa e quindi di un’esperienza di visione più simile al teatro filmato che ad un film vero e proprio, non bastano certo un’atmosfera apocalittica, straniata e surreale, una fotografia ruvida e greve, di evidente ispirazione garroniana ed un montaggio che tenta invano di ritmare e ringalluzzire il racconto grazie a flashforward, a qualche campo/controcampo e ad una serie di fermoimmagine che indicano il tempo rimanente all’entrata in scena.
Malgrado ciò, se c’è una cosa che la macchina da presa riesce a rappresentare in maniera valida o perlomeno corretta, questa è, senz’ombra di dubbio, la dialettica tra interno/palcoscenico ed esterno/dietro le quinte e, di conseguenza, il contesto, che Salvatores tratteggia in modo estremamente capace ed intelligente.
Infatti, prima di rinchiudersi fra le quattro mura dell’aula, Comedians si apre lasciandoci intravedere qualche scorcio (forse i peggiori) di un’Italia disastrata e cupa, battuta e perseguitata da una pioggia insistente, probabilmente vittima o reduce da una grande crisi (guarda caso) che si abbatte irrimediabilmente anche sull’arte in genere e, in particolare, sull’arte della risata.
Difatti, come ci tiene a sottolineare poco dopo il personaggio di Bernardo Celli, quello di Comedians è un Bel paese che ha un profondo bisogno di evasione (in senso lato e stretto), di una risata facile e spicciola, di intrattenimento, di esorcizzare le proprie paure e i propri demoni attraverso l’umorismo (soprattutto televisivo). Questa è quindi un’Italia in cui i filosofi, gli intimisti, i sovversivi e gli intellettuali (come lo stesso Barni e il giovane terrorista, quasi luciferino Giulio Zappa) non sono ben accetti, non riescono ad essere compresi o comunque vengono disprezzati ed emarginati da società ed establishment.
Questo dramma e questo contesto vengono ben (rap)presentati da Salvatores ed espressi altrettanto bene dalle varie interpretazioni dei comedians, che, all’infuori dei succitati Barni e Zappa (nei confronti dei quali il film parteggia in maniera evidente, vedasi quanta attenzione dedica alla performance del giovane e al dialogo finale tra i due), perseguono il sogno della comicità non per una passione innata, quanto piuttosto per evadere e liberarsi (con un umorismo d’evasione e quindi spicciolo) da una condizione individuale, familiare, lavorativa e socio-politica avvilente e miserabile.
Ebbene, quanto avete appena letto è pressoché l’unico elemento realmente interessante, funzionale e funzionante di Comedians, che (ripetendoci) vorrebbe adattare e contestualizzare ai giorni nostri, per e nell’Italia di oggi, un testo, quello di Griffiths, dai temi certamente universali, ma che (e questo solo ed unicamente nell’adattamento che Salvatores ne trae), quando è chiamato ad affrontare la comicità in senso stretto, in maniera dialettica e quasi filosofica, non riesce a scontrarsi e a vincere l’effetto corrosivo del tempo, dunque fallendo nel dare prova di questa sua potenziale attualità. Quella che propone la pellicola è infatti una trattazione dell’umorismo e della figura del comico che avrebbe potuto avere una qualche forma di appiglio e di clamore intra- ed extra-filmico negli anni ‘70-’80 (volendo, anche ‘90), quando ancora la televisione e la comicità televisiva erano al centro del dibattito pubblico.
Sfortunatamente, in un’Italia in cui i massimi esponenti attuali dell’arte della risata sono programmi come LOL (che, dalla televisione, prendono solo la confezione e alcuni volti noti); in cui la comicità che riesce a sfondare è quella delle piattaforme streaming, del web, dei social; e in cui, pertanto, la comicità ha cambiato forme e format, si è aggiornata alle esigenze e ai gusti di un pubblico più giovane (che magari non conosce neanche grandi pilastri dello humour televisivo nostrano come Zelig o Colorado) e ha trovato un nuovo stile, i discorsi e lo scontro dialettico (tra comicità di alta e bassa lega) di un film come Comedians e di una visione come quella di Salvatores sono un qualcosa ben oltre il fuori tempo massimo.
E’ allora in mancanza di un racconto forte ed argomentativamente valido che il regista ripone tutta la propria fiducia su interpretazioni più o meno convincenti (si salvano forse un Natalino Balasso perfettamente in parte ed un Christian De Sica in una delle sue prove più convincenti e azzeccate) e, nello specifico, su un Giulio Pranno, il cui ardore dovrebbe rappresentare idealmente una sorta di auspicio e di augurio per il futuro, ma che purtroppo non riesce ad esprimersi a dovere e a penetrare del tutto il cuore e la mente del pubblico, complice quasi sicuramente la mano e l’occhio (entrambi datati) di chi lo dirige. Decidere poi di chiudere con un'inquadratura metaforica (e solo apparentemente sovversiva) non contribuisce certo a svecchiare la miscela, anzi… Ecco dunque che ritorna utile la citazione di Macbeth: vi basti sostituire Comedians alla parola “attore” e il gioco è fatto!
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