TITOLO ORIGINALE: In vacanza su Marte
USCITA ITALIA: 13 dicembre 2020
REGIA: Neri Parenti
SCENEGGIATURA: Neri Parenti, Gianluca Bomprezzi
GENERE: commedia, fantascienza
Nel 2030, Fabio Sinceri decide di sposarsi su Marte - pur essendo già sposato e padre - con la nuova fidanzata Bea. Approdato sul pianeta rosso, questi verrà però raggiunto dal figlio Giulio che vorrà, a tutti i costi, che ritorni insieme a lui e alla madre. Dopo 15 anni dal loro ultimo lavoro insieme, il trio Parenti-Boldi-De Sica fa rifiorire il loro sodalizio, firmando una pellicola disastrosa, insensata ed insignificante che vorrebbe puntare al futuro e al pionierismo cinematografico (sintomatico, a tal proposito, l’uso della tecnologia Stagecraft), ma rimane impantanato in gag e composizioni comiche vecchie di trent’anni. Nient'altro che un ostacolo e impediente e nostalgico ritorno al passato in un panorama cinematografico italiano di rinascita e rinnovamento.
Avete presente quando, esagerando, magari scherzando con gli amici, si dice: “Ormai i cinepanettoni sono stati ambientati ovunque. La prossima volta dove andranno? Su Marte?”. Ebbene, quel giorno è arrivato. Le esagerazioni goliardiche e farsesche (spesso denigratorie) di milioni di spettatori sono divenute realtà. Ne è la prova In vacanza su Marte, il nuovo cinepanettone per la regia di Neri Parenti, con la coppia Boldi-De Sica, il duo più trapassato dell’odierna comicità italiana. Oltre all’ambientazione “inedita”, In vacanza su Marte possiede un ulteriore primato in tema cinepanettoni, in quanto è il primo a non uscire in sala, bensì a noleggio sulle maggiori piattaforme streaming. Più che un cinepanettone, sarebbe quindi meglio definirlo un “telepanettone”, citando lo stesso De Sica.
Pur riportando sotto i riflettori, dopo 15 anni, il sodalizio quasi trentennale tra Neri Parenti e il duo, iniziato con Vacanze di Natale ‘95 (1995) e interrottosi nel 2005 con Natale a Miami (il regista ha poi continuato a lavorare separatamente con i due), qual è il vero obiettivo di quella che, a tutti gli effetti, non è altro che una trovata commerciale, volta a sfruttare il consenso e la nomea dei due comici? Ce lo spiega, in modo chiaro e semplice, il nostro Christian, il quale, ai microfoni di Vanity Fair, spiega che “a differenza del nostro precedente lavoro (Amici come prima ndr), che è una commedia tout court, io e Massimo abbiamo rispolverato il tradizionale film comico di Natale. Nemmeno il Covid ci ha fermato, e anzi arriviamo direttamente nelle case degli italiani. Di questi tempi c’è bisogno di fare due risate".
Tolta l’affermazione “spacconesca” con cui questi e l’amico Massimo chiudono l’intervista (alla domanda “Come vi immaginate tra dieci anni?”, De Sica risponde “magari faremo Natale all’ospizio”, Boldi invece “a Wuhan”, in riferimento all’attuale pandemia), gira che ti rigira, il fine di un film del genere è sempre quello: far ridere le persone. E noi di Cinemando, dopo esserci “sottoposti” alla visione di In vacanza su Marte, ci siamo chiesti chi mai potrebbe ridere di fronte a quanto prodotto. Sarà dunque nostro compito spiegarvi perché il nuovo film di Neri Parenti sia quasi la parodia del cinepanettone classico e il perché progetti del genere abbiano raggiunto il limite della saturazione, soprattutto nell’attuale panorama di rinascita del cinema italiano.
Già fin dal trailer rilasciato poco più di un mese fa (3 dicembre 2020, ndr), sarebbe stato possibile annusare il flop e la lontananza di suddetto prodotto da pellicole classiche della commedia all’italiana come Amici miei, Vacanze di Natale o anche solo i film di Fantozzi (alcuni diretti dallo stesso Parenti) e le ben più evidenti affinità dello stesso rispetto a scult del calibro di Natale in India, Natale a Miami, Natale a New York e via discorrendo. Non che ci aspettassimo una comicità riuscita o una fattura tecnica degna della migliore produzione. Tuttavia, avremmo almeno preteso un film d’intrattenimento e divertimento senza infamia e senza lode, diretto in maniera funzionale, montato decentemente, recitato al limite della decenza e che, soprattutto, avesse senso di esistere ed essere visto. Come forse avrete intuito In vacanza su Marte non riesce a soddisfare nessuna di queste nostre aspettative.
Avreste mai pensato di poter dire che un film del duo Boldi-De Sica e The Mandalorian, la prima serie live action ambientata nell’universo di Star Wars, potessero avere qualcosa in comune? Ebbene sì, in quanto entrambi hanno sfruttato, durante le riprese, la tecnologia Stagecraft, che permette la creazione di un set virtuale al cui interno gli attori sono liberi di muoversi. Inoltre, il cinepanettone di Parenti è tra i primi film italiani ad ambientare le proprie vicende in uno spazio, nello specifico su un pianeta, visivamente e concettualmente realistico e, nel farlo, è ovvio il rimando e l’influenza dei recenti successi fantascientifici della cinematografia hollywoodiana come Interstellar (e i suoi buchi neri) e Sopravvissuto - The Martian. Ciò nonostante, come prevedibile, il pianeta rosso, nell’economia del racconto, riveste il ruolo di mero pretesto e di finta innovazione, giacché la vicenda potrebbe essere ambientata da qualsiasi altra parte e rimarrebbe comunque inalterata.
Pertanto Marte rappresenta solamente il contorno di un’opera che - all’infuori di qualche sequenza in esterni (ossia sulla superficie del pianeta) che, secondo noi, mal adopera quella stessa tecnologia sopracitata -, è girato del tutto all’interno degli studi di Cinecittà. E su questa peculiarità della produzione saremmo pure comprensivi, dato il suo calibro ridotto, non fosse per il modo misero e sgraziato con cui si tenta di amalgamare e rendere queste due dimensioni (quella spaziale e quella della stazione/hotel marziano) parte di un unicum.
Richiedendo allo spettatore una massiccia dose di sospensione dell’incredulità, In vacanza su Marte, nello specifico la sua fotografia, non riesce dunque a rendere omogenee, fuse e coerenti la propria rappresentazione e le proprie scenografie, digitali o fisiche che siano, lasciandone trasparire, da un lato, artificiosità e finzione e facendo emergere, dall’altro, le differenze intrinseche e produttive delle riprese in Stagecraft e sul set. In poche parole, anche un occhio meno allenato noterà che più che su Marte, gli attori e la troupe si trovano a Roma sud. E questo è un problema, se si ha come fine la creazione spettacolare e immersiva di un mondo lontano e alieno.
Questa mancata fusione fotografica e scenografica delle due dimensioni spaziali del racconto di In vacanza su Marte è soltanto la punta dell’iceberg di un comparto tecnico che si limita a portare a casa la pagnotta senza troppi complimenti. Un’impalcatura tecnica che si limita a fare il suo lavoro (e lo fa anche male) correda il tutto con una regia anonima, scialba e insignificante, una messa in scena pretestuosa e monotona, un montaggio posticcio e sconnesso (il film sembra montato con l’accetta), costumi nella norma (eccezion fatta per il design di alcune tute) e una colonna sonora che, come nella migliore tradizione del cinepanettone, propone una hit del momento - in questo caso, Hypnotized di Purple Disco Machine -, la quale fa sembrare il tutto la pubblicità di un operatore telefonico qualsiasi.
Probabilmente, Christian De Sica nel pronunciare queste parole aveva in mente un altro film o, soprattutto, un’altra sceneggiatura. Il regista Neri Parenti, in coppia con Gianluca Bomprezzi, è infatti l’autore di un copione che vorrebbe essere e trasmettere molto, ma si perde fin da subito nel nulla cosmico. Un soggetto dagli stilemi tanto ridondanti quanto fortemente tediosi, composto da due storyline più o meno interconnesse tra loro - un matrimonio finalizzato ad ottenere un ingente eredità e fondato sulla bugia e sul tradimento, un abbandono filiale e un buco nero che invecchia un diciottenne di 50 anni facendolo diventare Massimo Boldi; e lo smascheramento del rapporto finto e costruito di due influencer - si sviluppa nel modo più scontato e prevedibile di tutti, soprattutto in materia di cinepanettoni.
Prende così il via una classica commedia degli equivoci dall’intreccio premeditato e costruito che vorrebbe essere, al contempo, un ventaglio di gag e battute spassose e una critica satirica, pungente e laica nei confronti di una quotidianità e di una società, quella del nostro presente, che rimane immutata anche a distanza di 10 anni (la pellicola è ambientata nel 2030). Inutile dire che In vacanza su Marte non è niente di tutto ciò. Ben presto infatti, quel ventaglio di gag e battute spassose diventa un miscuglio di momenti comici che - tra puerilità di vario tipo e natura, uscite sulla prostata, fraintendimenti di dubbio gusto, parolacce in romanesco, flatulenze all’atto teorico e pratico, “puppa” e scherzi tipici di un adolescente in piena pubertà - rivela una pochezza compositiva oltre ogni aspettativa.
D’altro canto invece, quella critica socio-politica si rivela in tutta la sua superficialità, mostrandosi come una collezione di luoghi comuni e stereotipi, sintomatici di una scrittura che vorrebbe raccontare l'oggi e la modernità, ma che, al contrario, ci fa domandare se, nel 2020 (già 2021), sia ancora divertente vedere due uomini di 75 e 70 anni che fingono di essere gay (o, usando la terminologia della pellicola, “culattoni”), con tanto di gesti gigioneschi e voce effeminata.
Come se non bastasse, la sceneggiatura di In vacanza di Natale è artefice e burattinaia di una schiera di personaggi paragonabili non tanto ai Mostri della commedia all’italiana (Sordi, Gassman, Tognazzi), quanto più a mostri in carne e ossa, narrativamente squilibrati, quasi assurdi e oltremodo grotteschi. Questi, a loro volta, sono insipidamente interpretati da un Christian De Sica stanco - che dimostra, ancora una volta, che, se solo fosse sostenuto da uno script minimamente decente, potrebbe regalare delle buone performance -, da un Massimo Boldi svigorito e pressoché indecente (su di lui si notano in maniera evidente, molto più che nel compare, i segni dell’incedere dell’età), da una Paola Minaccioni e una Lucia Mascino prive di alcun mordente o momento memorabile, da una Denise Tantucci e da un Alessandro Bisegna da denuncia e da un Herbert Ballerina che non strappa una risata neanche per scherzo.
Una scrittura puerile, eccessivamente volgare e scontata, che non trasmette nulla se non una profonda apatia e un’altrettanto monotona indifferenza rispetto a quanto narrato, è la ragione per cui In vacanza su Marte è una commedia non riuscita. Un comparto tecnico precario, per non dire mediocre e una gestione approssimativa degli attori sono invece i due motivi principali per i quali l’opera di Neri Parenti è un film fallito e fallimentare fin dalle sue stesse fondamenta.
In più, guardandola si ha come l’impressione che sia stato girato soltanto per incassare qualche migliaia di euro e far parlare di sé per un paio di mesi. Non traspare infatti alcun cuore o attaccamento da parte della produzione e della troupe nei confronti di quanto girato e pensato. Infine, un ulteriore segno non proprio positivo è il fatto che la porzione di film che diverte maggiormente siano i titoli di coda, in cui ritorna un’altra immancabile costante dei cinepanettoni: i bloopers o papere, volgarmente parlando.
Pur volendo puntare al futuro, all’avanguardia, all’avvenire - ne sono un indizio la tecnologia Stagecraft e l’ambientazione spaziale -, In vacanza su Marte si configura invece come un progetto disastroso, insensato ed insignificante (piuttosto che meramente trash), impantanato nelle solite gag e nei soliti giochetti comici di trent’anni fa. Potremmo paragonarlo a quanto accaduto con Lockdown all'italiana di Enrico Vanzina, ma, in quel caso, il ritorno (dai risultati indubbiamente rovinosi) ad una comicità âgée era giustificato e preventivato fin dalla campagna promozionale e dal titolo stesso. Di conseguenza, bisogna valutare il cinepanettone targato Neri Parenti per quel che è: un ostacolo impediente e un nostalgico e frivolo ritorno al passato all’interno di un panorama cinematografico, quello nazionale odierno, di rinascita dei generi e di una comicità intelligente e misurata (basti vedere l’esordio alla regia e alla sceneggiatura del figlio d’arte Pietro Castellitto ne I predatori). Un panorama in cui Boldi e De Sica non sono più i re indiscussi della risata, quanto più l’incubo a occhi aperti - e su (tele)schermo - di un tipo di commedia ormai morto e sepolto.
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