TITOLO ORIGINALE: Dr. No
USCITA ITALIA: 17 gennaio 1963
USCITA UK: 5 ottobre 1962
REGIA: Terence Young
SCENEGGIATURA: Johanna Harwood, Richard Maibaum, Berkely Mather
GENERE: spionaggio, azione, avventura, fantascienza
James Bond, agente dei servizi segreti britannici con licenza di uccidere, chiamato ad investigare sulla morte di un suo collega stanziato in Giamaica, si scontrerà con Dr. No, eccentrico e misterioso scienziato, intenzionato a vendicarsi contemporaneamente di Stati Uniti e Unione Sovietica. Il film che ha dato il via a tutto. Il film che ha rivoluzionato il genere dello spy movie. Il primo film di 007, l’agente segreto più famoso della storia del cinema. Un Sean Connery integerrimo è il primo James Bond in un’opera che, nonostante i difetti evidenti e figli del proprio tempo, regala allo spettatore due ore di sano e affascinante divertimento. Azione, avventura, giallo, fantascienza, evasione: Licenza di uccidere non sarà sicuramente il Bond più riuscito dei 25, ma è quello che presenta la narrazione più densa ed equilibrata. Tutto ciò a fronte di un comparto tecnico abbastanza altalenante, seppur dotato di una colonna sonora leggendaria e di un’ambientazione suggestiva.
Il dettaglio di quello che sembra essere l’interno della canna di una pistola che punta un uomo - elegante e apparentemente inconsapevole di quanto sta per accadere - che cammina. Ad un certo punto, questi si volta fulmineo verso lo spettatore (e verso la canna della pistola) e, arma in mano, spara un colpo. Il tema principale di Monty Norman irrompe in sala, mentre il sangue cola sullo schermo. Storia del cinema. Immaginate essere in un cinema nel 1962 e vedere tutto questo per la prima volta; immaginate essere al cinema ed assistere alla genesi di una delle saghe cinematografiche più longeve di sempre. Agente 007 - Licenza di uccidere o, più semplicemente, Licenza di uccidere (in originale Dr. No) è il primo dei 25 capitoli della saga, con protagonista la spia partorita dalla penna di Ian Fleming - la cui opera necessitò proprio di questo film per essere rivalutata e apprezzata dal grande pubblico. Produzione low budget e successo prima di pubblico e solo successivamente di critica, Licenza di uccidere segue le orme di “Bond, James Bond”, agente dei servizi segreti britannici, inviato in Giamaica per scoprire la verità dietro la misteriosa morte del collega John Strangways e della sua segretaria. Le indagini lo porteranno faccia a faccia con il malvagio e sibillino Dr. No - eccentrico scienziato germano-cinese, nonché membro dell’associazione criminale Spectre -, intenzionato a sabotare i test missilistici statunitensi, vendicandosi parallelamente anche dell’Unione Sovietica (colpevole di aver disdegnato le sue abilità in passato).
Playboy, incallito giocatore d’azzardo, amante delle auto di lusso, tiratore praticamente infallibile, gentiluomo dallo spiccato senso dello humour e aplomb britannico, uomo pratico e concreto: James Bond è il punto fermo ed irremovibile nel racconto e nella rappresentazione di Licenza di uccidere. Tuttavia, questo suo status non è che il risultato di un processo di presentazione e caratterizzazione accorto e soddisfacente, da parte degli sceneggiatori. Nei primi minuti e nelle prime sequenze del film, infatti, sia la macchina da presa sia quella da scrivere si impegnano nel fornire al pubblico quante più informazioni e dettagli su modi, usi e costumi dell’agente. Un inizio interamente votato all’introduzione del caso che Bond verrà chiamato a risolvere lascia dunque spazio ad una sequenza fondamentale, sotto numerosi punti di vista, per la comprensione del processo creativo e degli intenti narrativi. Mi riferisco al famosissimo momento in cui la spia si presenta a Sylvia Trench, pronunciando prima il cognome e poi il nome per intero, che, per iconicità e centralità rappresentativa del personaggio di 007, è forse la scena madre - insieme a numerose altre - di Licenza di uccidere.
Una mostrazione moderata e parsimoniosa del corpo e della fisionomia di James Bond coincide con un primo tratteggio della sua persona e personalità. Il contesto scelto e adibito alla prima, vera e propria apparizione dell’assoluto protagonista del racconto (e della futura saga) è un club esclusivo, più precisamente un tavolo in cui si sta giocando una partita di chemin de fer. Soltanto da questa caratterizzazione spaziale è possibile trarre due conclusioni: Bond è una persona benestante e ben “posizionata” nella scala sociale; un uomo galante e raffinato che, sebbene fuori servizio, non riesce ad astenersi dal provare emozioni forti, sfidando la sorte, a discapito del proprio portafogli. Tali deduzioni, unite al modo con cui la cinepresa ne propone e delinea la figura, sono l’ingrediente fondante tanto il carisma, quanto una totale ed incondizionata immedesimazione dello spettatore nei confronti del personaggio. Questa identificazione e centratura viene ulteriormente e successivamente reiterata da una messa in scena che fa di 007 il costante e massimo polo d’attrazione.
Dietro la macchina da presa, un Terence Young rigoroso e calibrato in una delle tre performance che lo renderanno noto al grande pubblico (le altre due sono quella dei successivi Dalla Russia con amore, 1963 e Thunderball, 1965). Questi correda e traduce su schermo la sceneggiatura del trio Harwood-Maibaum-Mather, mettendo in campo una regia estremamente tradizionale, formalmente pregevole - seppur abbastanza lineare - e interamente votata ad una rappresentazione quanto più limpida e cristallina degli eventi. Subordinata ad una narrazione essenziale, basata su una struttura e progressione razionale di causa-effetto, la direzione di Licenza di uccidere azzecca sempre i punti macchina, dando vita sì ad inquadrature semanticamente perspicaci e sostanzialmente corrette, ma anche ad una mise-en-scène invisibile e da mestierante che necessita obbligatoriamente dell’apporto di un insieme di fattori, per rispettare i propri intenti emotivo-sensazionali. In particolare, di una colonna sonora divenuta leggenda - firmata dal sopracitato Monty Norman, insieme a colui che diventerà lo storico compositore della saga, John Barry - che, in più momenti, colma le lacune registiche, restituendo alla scena il giusto apporto di tensione, intrigo e avventura; di una fotografia che, nonostante qualche imprecisione, riesce a stabilire registro e atmosfera dell’evento mostrato, con la sola gestione delle luci intradiegetiche; e di un Sean Connery così immedesimato nel personaggio di Bond da eliminarsi in quanto attore, divenendo un tutt’uno con l’agente segreto. Chiudono il comparto tecnico della produzione, un’ambientazione palpabile e visivamente suggestiva - per non dire poetica - e, per contro, un montaggio narrativo spesso fallace nei raccordi e semplicistico in alcune sue scelte (ne è un esempio lampante la riproposizione dell’inquadratura di Bond, Honey e Quarrel nascosti sott’acqua nella sequenza delle ricerche da parte degli uomini di Dr. No).
Vera e propria punta di diamante dell’opera di Young, la sceneggiatura, composta a sei mani dal trio Harwood-Maibaum-Mather, “digerisce” le pagine dell’omonimo romanzo di Fleming e ne offre una trasposizione fedele che, tuttavia, non si pone certo problemi a discostarsi leggermente dalla materia d’origine, ai fini di una resa quanto più godibile e appagante per lo spettatore. Contemporaneamente spy e detective story, in cui non è tanto interessante ed ingegnoso il cosa, quanto il come (fenomenale la sequenza di Bond che applica le sue tecniche anti-intrusione alla camera d’hotel), racconto esotico d’evasione che intrattiene e diverte, film d’avventura e di fantascienza nella parte conclusiva sull’isola di Dr. No, Licenza di uccidere testimonia le potenzialità derivabili e derivanti da una commistione di generi e suggestioni che, riuscendo a mantenere vive attenzione e curiosità, non tradisce minimamente le aspettative di un pubblico alla ricerca di azione spettacolare, detection, paesi tropicali e “colpi di scena” sconvolgenti. Una narrazione lineare, densa e ben equilibrata - che segue precisamente le varie fasi del viaggio dell’eroe di Vogler, snodandosi tra personaggi volutamente emblematici e stilizzati e dialoghi pungenti e pieni d’ironia, spesso divenuti cult - ed un comparto tematico borderline, ma ugualmente presente, sono, a tutti gli effetti, la colonna vertebrale di una produzione, avente, tra i suoi innumerevoli pregi, la genesi (parziale) e popolarizzazione di forme e concetti che hanno e continuano ad animare (sotto forma di citazione, parodia e ispirazione) il cinema moderno-contemporaneo. E non solo.
Prototipi come quello di bond girl e di villain “alla 007”, la massima summenzionata “Bond, James Bond”, la maniacalità nella descrizione di armi e gadget (qui, limitata ancora alla sola pistola di servizio dell’agente), la creazione di un eroe-manifesto di una mascolinità innata - tipica di un cinema lontano e trapassato: Licenza di uccidere è un film che non può essere ignorato, oltre che per le sue qualità fattuali e inoppugnabili, anche per il ruolo di rilievo rivestito nei confronti della cinematografia mondiale e, in particolar modo, del filone degli spy movie. L’opera di Young non è certo perfetta e, indubbiamente, neanche lo 007 più riuscito dei 25 - le due ore si fanno sentire (soprattutto nelle fasi conclusive); certe sequenze e un paio di personaggi, se analizzati con piglio moderno, risultano abbastanza naif; è riscontrabile qualche piccolo buco di logica; finale e sviluppo sono chiaramente “mal invecchiati”. Ciò nonostante, se contestualizzata al 1962 - accantonando le varie accuse di sessismo (oltremodo evidente, ma insito nel personaggio fin dalle proprie radici letterarie) legate al suo protagonista -, Licenza di uccidere è una pellicola che si riscatta pienamente da difetti e lacune, regalando allo spettatore un paio d’ore di sano e “succulento” divertimento. Una creatura filmica forse demodé, ma ugualmente e attualmente affascinante.