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IL PETROLIERE, VECCHI DEI E NUOVI IDOLI

SCHEDA

TITOLO ORIGINALE: There Will Be Blood
USCITA ITALIA: 15 febbraio 2008
USCITA USA: 25 gennaio 2008
REGIA: Paul Thomas Anderson
SCENEGGIATURA: Paul Thomas Anderson
GENERE: drammatico
PREMI: 2 PREMI OSCAR per MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA e MIGLIOR FOTOGRAFIA

VOTO: 10

RECENSIONE:

Daniel Day-Lewis interpreta un cercatore di petrolio assetato di successo e devoto completamente al progresso in questo film di Paul Thomas Anderson, vincitore di due premi Oscar. Una regia simmetrica, ricercata, attenta ai dettagli, una fotografia ed un’estetica polverosa, arida e selvaggia ed una sceneggiatura complessa ed aperta ad interpretazioni: questi gli elementi che rendono Il petroliere un’epopea colossale ed immortale.


1898. Il minatore Daniel Plainview trova per caso un giacimento di petrolio in una delle sue miniere. Grazie a questa scoperta, egli riesce a tirare su una piccola impresa di estrazione che inizia a fruttargli egregiamente, tanto da permettergli, in futuro, di cambiare completamente stile e tenore di vita. Tuttavia, durante i lavori di prelievo del materiale, uno dei suoi operai muore mentre si trova all’interno del pozzo. Plainview, forse per senso di colpa o per pietà, decide così di adottare il figlio, divenuto orfano, facendolo passare per suo e raccontando che la moglie e madre del neonato è morta di parto. Una decina d’anni dopo, Daniel è ormai uno dei cercatori ed imprenditori del petrolio più importanti della California e gode di una posizione stimata e di una riconosciuta fama di self-made man. All’apice del suo successo, il petroliere viene contattato dal giovane Paul Sunday, il quale gli rivela la possibile esistenza di un giacimento di petrolio nella proprietà della sua famiglia a Little Boston. Plainview e il figlio, che egli ha rinominato H. W., si recano immediatamente sul luogo e, presentandosi come cacciatori di quaglie, verificano la presenza del petrolio e cercano quindi di comprare la proprietà. Tuttavia, Daniel non menziona affatto la presenza di petrolio e tenta di pagare i Sunday molto meno di quanto gli spetterebbe. Sfortunatamente per lui, il gemello di Paul, Eli, è conscio dell’esistenza di petrolio nella loro proprietà e fa lievitare il prezzo della trattativa a 10.000 dollari, che intende reinvestire per la fondazione di una sua chiesa. Plainview paga subito 5.000 bigliettoni e ne promette altri 5.000 sotto forma di donazione alla chiesa. Il rapporto tra il religioso e l’imprenditore, non troppo roseo già dall’inizio, degenera ancora di più una volta che Daniel scopre ed inizia a sfruttare la ricchezza che si trova sotto i piedi dei Sunday. Il primo manca di onorare il proprio debito con la famiglia Sunday e accusa il secondo di essere un commediante, un falso profeta. Il giovane, invece, fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote a Daniel, continuando a fare richieste. Parallelamente a questo confronto – che viene traslato anche su un piano ideologico e mentale, oltre che effettivo e fisico -, il petroliere vedrà incrinarsi anche il proprio rapporto con il figlio H. W. e dovrà confrontarsi con incidenti ed ostacoli vari relativi all’impianto e al suo progetto di canalizzazione del petrolio, mentre demoni e memorie del suo passato bussano alla porta. Questa ricerca, da parte di Plainview, nei confronti di un successo sempre maggiore non farà che deteriorarlo lentamente, conducendo il film verso risvolti estremamente più violenti ed atroci.

petroliere


Paul Thomas Anderson (regista e sceneggiatore di film come Boogie Nights, Magnolia, The Master e Il filo nascosto), con II petroliere, firma uno dei suoi capolavori ed opere massime per quanto riguarda stile, estetica e poetica. Con l’uso della macchina da presa, il cineasta rappresenta la lenta caduta all’inferno da parte di un uomo che, quando ha un obiettivo, non si ferma davanti a niente e a nessuno, neanche di fronte al proprio stesso figlio. Una lenta e progressiva caduta nell’oblio, nella diffidenza e nella violenza quella di Daniel Plainview, individuo e magnate dell’imprenditoria petrolifera assetato dal successo, dal riconoscimento e devoto completamente al progresso. Attraverso la costruzione di inquadrature simmetriche, calibrate, armoniche e perfette da un punto di vista della grammatica cinematografica, Anderson dà vita ad una pellicola complessa, potente e che si rifà ad uno dei conflitti e scontri insiti nella natura dell’uomo: quello tra il vecchio e il nuovo, tra il passato e il presente, tra le superstizioni e i fatti, tra la regressione/conservazione e il progresso. Così facendo, il regista pone in primo piano una costante e ripetuta collisione tra i vecchi dei e i nuovi idoli, dove i vecchi dei sono incarnati dal giovane Eli Sunday, con la sua piena e totale fede nei confronti della propria religione e del proprio Dio, mentre i nuovi idoli, ovvero quelli del denaro, del progresso, del petrolio, del capitalismo in poche parole, si compongono e si palesano nella figura di Daniel Plainview. Tutto è determinato dal petrolio, che diventa un vero e proprio filo conduttore e motore dell’intera vicenda. Praticamente, in quasi tutte le inquadrature create ed immaginate da Paul Thomas Anderson, il petrolio e tutto ciò che lo riguarda (il colore nero, le torri, il fuoco, il fumo, ecc…) sono sempre presenti ed è proprio lo stesso petrolio a determinare l’intero racconto della pellicola. Le vite di Daniel e di tutti coloro che lo circondano subiscono un cambiamento o arrivano ad essere interamente condizionate e stravolte proprio da e per colpa di questo liquido viscoso ed infiammabile (in una scena, Plainview praticamente battezza il neonato H. W. macchiandolo proprio con questo materiale).

petroliere


Mediante carrellate, campi lunghissimi e di ampio respiro, tipici di un genere come il western, inquadrature memorabili, che esplorano spasmodicamente l’espressività e la potenza recitativa degli interpreti ed una messa in scena consapevole e puntuale, PTA dà forma ad un dramma umano dai toni epici e mitici che, per certi versi, riprende capolavori letterari come Furore e La valle dell’Eden di John Steinbeck. Questo senso di grandezza, vastità e magnificenza dato dal comparto visivo e registico – potenziato da ambientazioni aride e desolate, ma estremamente suggestive e maestose – cozza e viene a scontrarsi con il focus riservato a personaggi quasi inutili da un punto di vista di importanza storica. Un’attenzione maniacale per i dettagli, un intreccio complesso, ma estremamente comprensibile e fluido, una plausibilità degli eventi ed una molteplicità di tematiche e discorsi affrontati rendono la sceneggiatura de Il petroliere un’autentica epopea moderna. Mantenendo, come leit motiv e filo conduttore delle vicende gli annessi e connessi del petrolio ed una vera e propria nascita del capitalismo moderno, l’autore losangelino elabora ed imbastisce una pellicola che inizia come una storia di pionieri e di cercatori, ma si trasforma in qualcos’altro. Si trattano temi come la religione, l’ateismo, il rapporto padre-figlio e quello tra fratelli, il prezzo del successo, la vittoria dei nuovi idoli sulla religiosità imperante del passato e il dibattito filosofico tra macchina/corpo e spirito. Più si prosegue con la visione del film, più è possibile notare una vera e propria stilizzazione ed identificazione dei personaggi con i termini di paragone ideologici e di confronto imposti dal film. Tutto ciò non sarebbe però possibile se, alle spalle, non vi fosse una caratterizzazione così minuziosa e precisa di ogni singolo personaggio. Sto parlando , in modo particolare, di quella di Daniel Plainview e di quella di Eli Sunday.

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Il primo viene convertito lentamente in una rappresentazione filmica ideale di un ateismo apparente che non è altro che un’idolatria, un credo ed un’ossessione nuova e progredita nei confronti di queste cosiddette “divinità” moderne (denaro, petrolio, dominio e predominio, successo). Il secondo è il baluardo della religiosità e della fede in senso stretto e classico; un uomo autoproclamatosi e convintosi profeta, molto stimato e seguito che, come direbbe lo stesso Plainview, presenta dalle eccellenti doti da commediante ed imbonitore. Come affermato sopra, questi incarna i vecchi dei, quelli tradizionali, ma estremamente arcaici, letteralmente l’opposto del progresso e l’ostacolo volto ad impossibilitare il compimento dei piani del petroliere. Questo dualismo è un elemento narrativo ricorrente all’interno del mosaico di Paul Thomas Anderson: oltre al confronto tra Plainview ed Eli Sunday, è individuabile anche un paragone ed uno scontro tra gli stessi gemelli Sunday. Da un lato, troviamo Eli, legato ad un qualcosa di etereo, impalpabile e spirituale. Dall’altro, abbiamo invece Paul, una sorta di sosia immaginario di Plainview, legato al guadagno, alla materia, al denaro e a questi cosiddetti nuovi idoli. Due personaggi, un solo interprete. Paul Dano (12 anni schiavo, Prisoners, Swiss Army Man) contribuisce in modo vitale e centrale alla grandezza della pellicola di PTA, dando prova di un’immedesimazione completa ed elaborata nei due fratelli Sunday, specialmente nel personaggio di Eli, a cui apporta un’espressività straziante, instabile, così esplosiva ed imprevedibile da lasciare a bocca aperta. Nonostante la bravura di Dano, a stupire ed impressionare veramente lo spettatore è Daniel Day-Lewis, qui, in una delle sue prove migliori – così imponente da valergli il premio Oscar come miglior attore protagonista nel 2008. Un look estetico magnetico e la costruzione di un personaggio tremendo, agghiacciante e traballante psicologicamente completano una grande e magnifica interpretazione da parte di Lewis, che diventa ben presto il fulcro della pellicola, nonché uno dei motivi determinanti la sua grandezza. L’attore, tre volte premio Oscar, oltre a bucare lo schermo con la sua presenza scenica e la sua comunicabilità espressiva, fa un uso sapiente dei momenti di silenzio, messi a disposizione dalla sceneggiatura, per dare vita a sequenze eloquenti ed efficaci, ricche di pathos e naturalezza recitativa (veramente eccezionale e da storia del cinema quella del confronto finale con Eli).

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Questa potenza registica, concettuale ed interpretativa non fa che essere potenziata da un comparto fotografico ispirato, in linea con le ambientazioni e la loro morfologia ed il tema cardine della pellicola, ovvero quello della macchina, dell’industria. Robert Elswit – collaboratore di lunga data di Anderson, che per il film vinse una statuetta – firma un lavoro fotografico e cinematografico sicuramente tra i migliori della storia del cinema contemporaneo. Arida, secca, polverosa, afosa, viscosa, infuocata, tanti sarebbero gli aggettivi adatti a descrivere l’estetica e il livello fotografico e di drammatizzazione raggiunti da Elswit in questo film. Estetica e fotografia, quella de Il petroliere, che non fanno che sottolineare ed accrescere quel senso di epicità e grandezza che circondano la pellicola, dando vita a scenari e panorami che inglobano e coinvolgono completamente lo spettatore. Il polistrumentista e compositore Jonny Greenwood sigla invece l’altrettanto meravigliosa colonna sonora che accompagna le vicende della pellicola. Dissonanti, viscerali, messed-up (inglesismo che descrive benissimo le composizioni di Greenwood), apparentemente senza capo né coda, ma martellanti, ciclici e penetranti, i temi dell’inglese ben si amalgamano con la discesa nell’oblio di un uomo che inizia a vedere tutti, anche il proprio stesso figlio, come un nemico ed un ostacolo. Un’opera di cinema con la C maiuscola; un viaggio oscuro e tenebroso nell’anima e nella mente di un uomo che vive e sacrifica tutto ciò che ha e potrebbe avere per il proprio amato petrolio, per sentirsi sempre più potente, per avere più successo degli altri; un poema epico moderno; un manuale di regia, sceneggiatura, estetica e conduzione degli attori; un autentico capolavoro, praticamente esente da alcun tipo di difetto. Non a caso, molti critici ed addetti ai lavori lo definiscono come uno dei migliori film del XXI secolo, insieme ad altre opere come Mulholland Drive e The Tree of Life. Con Il petroliere, Paul Thomas Anderson raggiunge una delle vette qualitative più alte della propria filmografia, costruendo un film memorabile ed epocale fatto di opposti e dualismi, di personaggi autentici, di vicende travolgenti ed impressionanti e termini di riflessione e discussione vari e ben sviluppati. Un'opera irripetibile, unica ed immortale.

PRO:

  • Inquadrature simmetriche, calibrate, armoniche e perfette da un punto di vista della grammatica cinematografica
  • Trattazione potentissima di uno dei conflitti viscerali dell'umanità: quello tra il vecchio e il nuovo, oltre che di temi come la religione ed il rapporto padre-figlio
  • L'ossessione per il successo ed il potere e la lenta discesa nell'oblio di un magnate del petrolio viene resa credibilmente ed umanamente
  • Il comparto visivo dona quel senso di grandezza e di epicità aggiuntivo ad un racconto di per sé mastodontico
  • Attenzione maniacale per i dettagli
  • Caratterizzazione idealistica dei personaggi
  • Intreccio complesso, ma estremamente comprensibile e fluido
  • Interpretazione magnetica, agghiacciante, semplicemente enorme di Daniel Day-Lewis
  • Fotografia arida, polverosa, viscosa, infuocata che dona maggior epicità al racconto
  • Colonna sonora coerente e martellante

CONTRO:

  • Praticamente nessuno
Pubblicato da Nicolò Baraccani il 30 Marzo 2020
Categorie
  • Cinema
Tag
  • 2007
  • CULT
  • Daniel Day-Lewis
  • DRAMMATICO
  • Oscar
  • Paul Thomas Anderson
  • TRATTI DA LIBRI
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