TITOLO ORIGINALE: 5 è il numero perfetto
USCITA ITALIA: 23 ottobre 2019
REGIA: Igort
SCENEGGIATURA: Igort
GENERE: Drammatico
Alla sua prima esperienza come regista, il fumettista Igort confeziona un film che riesce a fondere cinema e graphic novel, presentando un comparto visivo impressionante
Cosa succederebbe se si mischiassero Gomorra, John Wick, Era mio padre di Sam Mendes e il mondo delle graphic novel? Beh, si ottiene un film come questo 5 è il numero perfetto. Ok, forse paragonarlo alla violenza viscerale di John Wick è un esagerazione, però il paragone avviene dal punto di vista del soggetto iniziale. Igort (pseudonimo di Igor Tuveri), fumettista e romanziere italiano, – autore della graphic novel da cui è tratta la pellicola – si cimenta nella regia di un film per la prima volta con, dalla sua, attori del calibro di Toni Servillo, Carlo Buccirosso e Valeria Golino, vere e proprie icone del cinema nostrano. L’autore sardo confeziona un film che presenta un comparto artistico e visivo che fa impressione, a metà tra un fumetto e un noir duro e puro, come quello di Mendes, che è ciò che più ci si avvicina. Non si spinge troppo, stranamente, sull’acceleratore violenza. Tutto viene mantenuto su lidi abbastanza pacati e ragionati. Il film si prende i suoi tempi, ma non arriva mai ad annoiare, grazie soprattutto all’interpretazione di Servillo, veramente degna di nota. Non mancano, però, sparatorie e sequenze action che mi portano, di conseguenza, a paragonare, seppur in minima parte, questo film al Io vi troverò di Pierre Morel o al già menzionato John Wick di Chad Stahelski. Ovvio il tutto è molto più ridotto, molto più accennato e proporzionato ad una dimensione tipicamente italiana.
Il film non brilla assolutamente per un soggetto e sceneggiatura innovativi. Tutto odora di già visto, di già sentito. Un classico revenge movie in salsa partenopea, con ambientazione anni ’70, sparatorie e un tono dark ed introspettivo. Il protagonista, interpretato da un, come sempre, meraviglioso Toni Servillo, è Peppino Lo Cicero, un sicario all’antica, un guappo che, dopo la morte della moglie, subisce un’ulteriore perdita, quella di suo figlio. Quest’ultimo viene assoldato per uccidere il fantomatico Mister Ics. La missione si trasforma, ben presto, in un disastro e termina con l’uccisione di Lo Cicero Junior. Il padre cerca vendetta e decide di ribellarsi contro tutto e tutti, contro i suoi stessi ideali per trovare una sorte di pace interiore. Alleatosi con il suo vecchio compagno sicario, Totò o’ Macellaio (Carlo Buccirosso), e con la sua vecchia fiamma, Rita (Valeria Golino), decide di scatenare una guerra contro i clan malavitosi del capoluogo campano.
Alla sua prima esperienza da regista, Igort porta in scena una storia che nessuno meglio di lui può conoscere. La sua opera prima presenta una regia normale, che non osa mai, che non spicca per virtuosismi e movimenti di macchina arditi. La direzione registica è totalmente asservita alla narrazione degli eventi. Certo, mi sarei aspettato un qualcosa di più azzardato e che facesse apprezzare ancora di più, soprattutto, le varie scene e sequenze d’azione presenti nel film. Una regia più da noir e da action, senza dubbio. Una cosa è certa, però. Igort riesce a valorizzare moltissimo le varie location ed ambientazioni che si alternano nella pellicola, sottolineandone diversi aspetti tra cui, strano ma vero, l’espressività, il senso di marcio, di rovina, di decadenza. Le strade, i palazzi, gli interni. Il capoluogo campano assume un’aria nuova ed inedita, libera dai cliché tipici. Quasi non sembra di stare a Napoli. Le location sembrano appartenere ad una tradizionale metropoli americana, come può essere New York, San Francisco o Philadelphia, se non fosse per le insegne al neon e le scritte in italiano e in dialetto e la struttura delle varie viuzze in cui vaga Peppino Lo Cicero.
Un altro elemento che enfatizza ancora di più le location del film, il loro espressionismo e decadenza è, senza dubbio, la fotografia. Dark, tenebrosa, minacciosa, pericolosa, finta, da romanzo giallo. Ecco, questa è l’idea che si fa lo spettatore della Napoli presente nell’opera prima di Igort. Ogni sequenza, sia in interni che in esterni, presenta uno studio molto accurato delle luci e dei colori. Per tutto il film si ha, inoltre, quest’alternanza tra una notte scura e crudele, caratterizzata da una pioggia inarrestabile ed insistente e un giorno splendente, con colori accesi, forti, ma, allo stesso tempo, aridi, quasi secchi. In poche parole, la fotografia presenta i classici canoni del noir, ma, allo stesso, apporta una novità sostanziale al panorama del cinema italiano. Una fotografia così ispirata, recentemente, l’avevo vista solamente in Lo chiamavano Jeeg Robot, per quanto riguarda il cinema italiano.
Le ambientazioni fanno parte dell’ispiratissimo comparto artistico di questo 5 è il numero perfetto. Si nota incredibilmente il medium d’origine, la graphic novel. La struttura di quest’ultima viene ripresa più volte. Per esempio, si menziona il mondo del fumetto e delle graphic novel nella divisione in capitoli (5) del film e nella presenza di una copertina animata all’inizio di ciascuno di essi, come se ogni capitolo fosse un singolo comics issue. All’interno della pellicola è presente anche un discorso e un sottotesto metafumettistico che sarà evidente agli appassionati e riguarda lo scontro tra comics americani (popolati da supereroi in costume) e fumetti italiani (in cui è molto più presente la figura del deliquente, del villain. Si citano, per esempio, Diabolik e Kriminal).
Il film, quasi completamente dialogato in dialetto napoletano, deve il suo esito positivo, in particolar modo, all’interpretazione del gigantesco Toni Servillo. Dopo aver vestito i panni di Andreotti ne Il Divo e di Berlusconi in Loro – entrambi di Sorrentino -, l’attore campano torna ad interpretare un personaggio più terreno, più umile, più semplice. Peppino Lo Cicero è un sicario a pagamento, un guappo rustico e concreto. Nella sua vita sono importanti soltanto due cose: la famiglia e la polvere da sparo. La seconda non è più un qualcosa di quotidiano a causa della sua età avanzata, ma la stessa sarà anche la causa per cui Cicero perderà il figlio, l’unico familiare ancora in vita, dopo la morte della moglie. Servillo interpreta in modo istrionico e mastodontico questo antieroe molto introspettivo, molto duro, molto umano, molto materiale che si scatenerà una volta successo il misfatto. La sua prova attoriale è il fulcro della pellicola. Se il personaggio di Peppino è scritto e interpretato magistralmente, lo stesso non si può dire dei due comprimari. Totò o’ Macellaio e Rita vengono trattati, nella sceneggiatura, come meri personaggi di contorno che raramente diventano parte centrale dell’intreccio e che non vengono mai approfonditi a dovere. E proprio questa approssimazione nell’approfondimento dei due personaggi è uno dei difetti maggiori dell’intero film. Questo difetto colpisce anche le interpretazioni di Buccirosso e Golino. Entrambi vengono, innanzitutto, schiacciati dalla grandezza e dalla bravura di Servillo e, a causa della scrittura fallimentare dei loro personaggi, non riescono ad essere amati e compresi appieno dal pubblico. La Golino, soprattutto, regala al pubblico una delle interpretazioni più fastidiose della sua carriera. Piatta, bidimensionale, la sua presenza in questo film è estremamente dimenticabile.
Per concludere, si può affermare che l’opera prima di Igort è un film non privo di difetti, alcuni anche evidenti e grossi, come l’anonimia e la poca cura della sceneggiatura. Anzi, posso dire che mi sarei aspettato il contrario: una sceneggiatura curata – essendo egli fumettista prima che regista – e un comparto tecnico ed artistico minore e più sacrificato. 5 è il numero perfetto è un gangster movie/noir all’italiana buono, soprattutto per essere un’opera prima, che presenta una trama già vista, ma comunque discreta e circolare nella struttura e nell’intreccio, e un comparto visivo e artistico che colpisce e cattura l’attenzione dello spettatore fin dai primi minuti. Stesso spettatore che viene poi abbandonato, sfortunatamente, dopo un’ora e trenta. Il finale del film, oltre che presentare un colpo di scena incredibile ed inaspettato, lascia il pubblico con un’amarezza che ha dell’incredibile. Non ci si sbilancia mai troppo, non si sfocia nell’over-violence per scioccare lo spettatore. Ci sono sparatorie e sono tutte coreografate. Avrei, senza dubbio, preferito una maggiore coesione tra queste coreografie e una regia molto più presente, sfacciata e sfrontata. C’è, tuttavia, da dire che 5 è il numero perfetto rappresenta un qualcosa di buono e ben accetto all’interno del panorama del cinema italiano di genere. Da soli, Servillo, le location e la personalità artistica e stilistica inedita della pellicola valgono il prezzo del biglietto. Il film è, secondo il mio parere, un esperimento interessante che dovrebbe essere supportato, perché, ora come ora, di prodotti del genere vi è un bisogno disperato nel nostro cinema. Cinema italiano che piano, piano sta rinascendo dalle ceneri, tornando a sperimentare e, di conseguenza, a stupire.